di Enzo Marzo

Non sono immaginabili né una “rivoluzione democratica” né una politica senza dilettantismi ed eccessivi trasformismi, se non si affronta la situazione disastrosa della comunicazione. Non si sa se siamo giunti a un punto di non ritorno, ma certo è che mai il nostro Paese si è trovato a un livello così degradato in questo ambito, da tutti giudicato nevralgico per la democrazia.

La libertà di informazione è, bene o male, garantita da costituzioni e da leggi. I media che avvolgono il globo con le loro reti si dichiarano liberi, ma sono ovunque in catene. I vincoli, beninteso, sono sempre più virtuali, invisibili, legano le menti e le indirizzano. Una lunghissima lotta ha assicurato la “formale” libertà d’informare: oggi nei paesi industrializzati si può stampare, trasmettere, emettere segnali, suoni, messaggi. Tutto (quasi) liberamente.

La libertà dell’impresa mediale è (quasi) assicurata giuridicamente, spesso foraggiata. E così il mondo simbolico s’è adagiato sul mondo reale, coprendolo, rimodellandolo, se non sostituendolo. La nuova era è sotto il segno dell’informazione. Il cumulo degli strumenti informativi è impressionante. Persino eccessivo, temono alcuni. Però, se ciascuno dei segmenti di questo cumulo è inquinato perché non libero, il tutto si tramuta in un incubo di conformismo e di illibertà. L’opinione pubblica viene blandita come dominatrice e onnipotente, ma in effetti è manipolata, eterodiretta, svigorita. Gli strumenti del comunicare sono inesorabilmente e progressivamente concentrati.

Dappertutto regnano, se non il monopolio, l’oligopolio e strutture elefantiache, costosissime, irraggiungibili dalle minoranze ideologiche. Il lettore, lo spettatore e l’ascoltatore, che appaiono ovunque protagonisti, in realtà sono ridotti a oggetti inconsapevoli. Non sono titolari di alcun diritto. I risultati della conquistata libertà d’impresa mediatica sono deprimenti. Il pubblico-lettore si difende come può e arretra: abbandona progressivamente gli strumenti più “difficili” e soggiace a quelli più “facili”. Va sempre meno in edicola ad acquistare i quotidiani e giace di fronte alla tv, assimilando improbabili notizie che gli si accavallano nella mente in un guazzabuglio di fiction e di news. […]

I fogli spazzatura sono solo la bolla più appariscente della crisi. Ma questa è ormai strutturale. Mentre nella prima parte della Seconda Repubblica, dominata dal berlusconismo, il problema stava tutto nel monopolio/duopolio di Raiset e nel conflitto d’interessi, negli ultimi anni l’irruzione della rete e il velleitarismo autoritario di Renzi hanno fatto esplodere il sistema della comunicazione, rendendo la crisi pressoché irreversibile. Per quanto riguarda il medium televisivo pubblico, la riforma Renzi ha riportato l’orologio decenni indietro, ponendo l’amministratore delegato totalmente nelle mani del Governo. Così si è passati da un falso pluralismo, fatto di lottizzazione tra partiti, a un monopolio assoluto dell’Esecutivo. […]

Secondo il politilogo Robert A. Dahl, dei cinque criteri che caratterizzano una democrazia compiuta, ben tre riguardano i media:

1. Partecipazione effettiva (“prima che una strategia venga adottata […], tutti i membri devono avere pari ed effettive opportunità per comunicare agli altri le loro opinioni a riguardo”);

2. Diritto all’informazione (“entro ragionevoli limiti di tempo, ciascun membro deve avere pari ed effettive opportunità di conoscere le principali alternative strategiche e le loro probabili conseguenze”);

3. Controllo dell’Ordine del giorno. Lo stesso autore aggiunge che “offrire opportunità di crearsi una conoscenza chiara delle questioni pubbliche non è solo parte della definizione della democrazia, ne è un requisito fondamentale”. […]

Necessità di uno “statuto dei diritti dei lettori”. Nessuno ha mai pensato di garantire i diritti dei lettori. Eppure sono consumatori di una merce ben più delicata di altre, perché condiziona la salute mentale e democratica. Il lettore, oggi, non ha che pochissime guarentigie sul prodotto che acquista e quelle poche sono disattese. Ugualmente, il lettore non viene informato di come si forma nel “suo” giornale il processo informativo, e scarse sono le difese di legge contro le prevaricazioni ch’egli subisce. Forse basterebbero poche regole per sanare i guasti più visibili.

Uno “Statuto dei lettori”, qui proposto, è sostenuto da due saggi di Luigi Ferrajoli e Stefano Rodotà. Esso si concretizza non solo nel far rispettare finalmente le norme vigenti, ma nel fondere un vero “diritto dei lettori” a un’informazione non inquinata e trasparente. Su questo argomento ho scritto un libro con analisi e soprattutto proposte concrete sui Diritti dei lettori, (Biblion edizioni).

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