Mentre alla commissione Giustizia della Camera sono stati depositati 398 emendementi (99 di Forza Italia, 82 Fdi, 62 Italia viva, 15 Lega, 98 Azione, 20 Alternativa C’è, 10 M5S, 12 Pd) al ddl sul Csm e dell’ordinamento giudiziario, prosegue il lavoro della commissione incaricata dalla Guardasigilli, Marta Cartabia, per proporre ipotesi di riforma di Palazzo dei marescialli. La proposta avanzata nel documento finale della Commissione, presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani, è quello di evitare sorteggio per comporre il Csm, ma prevedere un nuovo sistema elettorale che determini una cesura tra le correnti della magistratura e i consiglieri togati. Questo per evitare che ci possano essere interferenze nell’elezione dei consiglieri. Sia il caso Palamara e l’ormai noto incontro all’hotel Champagne che il caso dei verbali di Piero Amara hanno messo a durissima prova l’istituzione del parlamentino delle toghe. L’indicazione della commissione venerdì sarà oggetto di un confronto tra la ministra della Giustizia e la maggioranza. Si chiede anche l’aumento del numero dei componenti del Csm e criteri più rigorosi per la formazione delle Commissioni con incompatibilità per chi è nella Sezione disciplinare.

Una proposta quindi che si allontana dal testo base della riforma dell’ex Guardasigilli Bonafede che prevedeva il sorteggio con l’introduzione di sistema maggioritario a doppio turno in 19 collegi per l’elezione dei consiglieri togati del Csm (aumentati a 20, più 10 laici), lo stop a chi proviene da incarichi di governo e regole rigide per le nomine per arginare il potere delle correnti, quote rosa e sorteggio per la composizione delle Commissioni. La riforma Bonafede prevedeva anche nuovi criteri in ottica di merito e trasparenza per l’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi e una riorganizzazione delle procure al fine di ridurre la gerarchizzazione al loro interno. Erano state chiuse le cosiddette porte girevoli tra toghe e politica perché si prevedeva che un magistrato che avesse ricoperto un incarico al parlamento italiano o europeo, o in una Regione per almeno sei mesi, o che avesse avuto incarichi di governo o in Comuni con oltre 100mila abitanti non potesse indossare più la toga e potesse essere ricollocato come funzionario al ministero della Giustizia o in altri ministeri.

Nella proposta della commissione Cartabia i magistrati che scelgono l’esperienza politica invece non dovranno dire addio per sempre alla toga. Nel testo presentato non c’è – secondo quanto riporta l’Ansa – il divieto assoluto per chi si candida a rientrare in magistratura alla fine dell’esperienza politica. Ma si propone l’introduzione di limiti territoriali: si potrà riprendere a esercitare funzioni giudiziarie cambiando regione. Si prevedono inoltre limiti più stringenti per l’eleggibilità dei magistrati. Vengono mantenuti criteri più oggettivi degli attuali indicatori attitudinali sulle nomine dei magistrati al vertice degli uffici giudiziari. L’obiettivo dichiarato, a due anni dallo “scandalo delle nomine”, è contenere la discrezionalità del Csm. La Commissione propone inoltre criteri selettivi più rigorosi per i magistrati destinati alla Corte di Cassazione e chiede sulle valutazioni di professionalità dei magistrati di dare voce in capitolo, ma senza diritto di voto, agli avvocati: all’interno dei consigli giudiziari potranno esprimersi con pieno diritto di parola. La commissione propone anche di limitare i passaggi dalle funzioni di giudice e quelle di pm e viceversa. Attualmente è possibile cambiare funzioni quattro volte durante l’intera carriera: tra le ipotesi messe sul tavolo dalla Commissione c’è limitare il “cambio di casacca” a due volte sole come era previsto nella riforma Bonafede.

Venerdì mattina la Guardasigilli illustrerà le proposte della Commissione alle forze di maggioranza. Che nel frattempo rilanciano: “Abbiamo presentato un pacchetto di proposte, nei prossimi giorni andrò dalla ministra”, ha detto in serata, intervenendo a Porta a Porta, il segretario del Pd Enrico Letta. La nostra idea è quella di costruire un’alta corte che tolga alcuni poteri di autogoverno, che oggi si gestiscono i giudici tra di loro, per farli gestire fuori dal Csm, creando una sorta di Corte costituzionale, sulla parte disciplinare. Noi siamo per garantire l’indipendenza della magistratura, ma l’autocontrollo totale non c’entra niente con l’indipendenza”. Mentre la capogruppo di Italia Viva in commissione Giustizia alla Camera, Lucia Annibali, illustrando i propri 60 emendamenti al ddl Bonafede dice che “il sistema elettorale, secondo noi, così come immaginato non va bene per contenere il peso delle correnti” e bisogna “introdurre criteri di valutazione generali, predeterminati, il più possibile chiari ed oggettivi”, nonché “assicurare la parità di genere nelle elezioni dei membri togati del Csm”.

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