Sono iniziate, lentamente, le partite vere per la politica italiana. In primis la Presidenza della Repubblica, con essa la durata della legislatura, una nuova possibile legge elettorale. Del resto, dopo l’approvazione a larga maggioranza del referendum costituzionale, nulla si è prodotto sul decisivo terreno degli assetti istituzionali; neanche sui regolamenti delle due camere.

La crisi pandemica, unita a quella economica, solo in parte giustificano questo impasse. Anzi, il varo del governo Draghi poteva consentire un tentativo di confronto tra i vari schieramenti proprio in ragione di questa ”sospensione” dei governi con base politica parziale. Al momento cosi non è ed è estremamente difficile avventurarsi in previsioni.

Sono decenni che si discute di riforme costituzionali e gli esiti sono assai imbarazzanti. Hanno superato il vaglio del popolo sovrano una proposta di revisione della Costituzione avanzata dal centrosinistra, che a distanza di venti anni mostra profondi limiti nella definizione dei poteri e delle materie assegnati alle Regioni, in particolare sulla sanità. Il recente referendum ha, al momento, come suo unico esito certo il taglio del numero dei parlamentari.

La debolezza del sistema politico italiano è certificata da questi processi. Se vi aggiungiamo il numero di leggi elettorali, persino approvate dal parlamento e mai entrate realmente in vigore, che si sono succedute in questi ultimi trent’anni, verrebbe voglia di gettare la spugna prendendo atto della irriformabilità del sistema istituzionale e politico italiano.

Facevano da contraltare a tutto ciò alcune riforme giudicate un po’ da tutti fortemente positive: le elezioni dirette di Sindaci e Presidenti di Regione. Tra qualche mese andremo al voto in alcune tra le più grandi metropoli italiane e in una regione del Sud più martoriate dalla gravissima crisi economica. Assistiamo ad un inedito fenomeno, solo in parte inspiegabile, di rinunce a catena sia nel centrodestra che nel centrosinistra e/o di autocandidature. In qualsiasi altro momento, sarebbe apparso uno scenario fuori dalla realtà.

Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, vanno contemporaneamente al rinnovo dei propri Sindaci e questo non si impone come elemento centrale dello scenario politico. Eppure, sarà proprio da queste grandi metropoli che passerà il futuro post-pandemia. In primo luogo per la concretizzazione del piano di recovery, il più grande programma di sviluppo dal dopoguerra. Questo è il secondo appuntamento elettorale ai tempi del Covid. Il precedente si è svolto in un momento politico che sembra già un’era geologica fa. I governatori si presentavano al voto, quelli uscenti, con un’unica carta vincente: come avevano sostenuto la battaglia pandemica. Sono usciti tutti premiati. Qualche mese prima nella battaglia più aperta, quella dell’Emilia Romagna, è stata decisiva la mobilitazione di movimenti di opinione fuori dai partiti.

Il voto del prossimo autunno registrerà in buona sostanza il protrarsi della crisi del nostro sistema politico, ma con tante incognite a partire dalla partecipazione. I cittadini hanno in testa la crisi sanitaria ed economica. I Sindaci dovranno, in primo luogo, rappresentare una credibile risposta a questo. A Napoli si è giunti ad una più che convincente proposta, nel mio campo, quella dell’autorevole prof. Manfredi. A lui si contrappone un magistrato di lunga esperienza. Sarà una bella campagna elettorale al cui centro va posto il tema di pensare e progettare una grande metropoli post pandemia.

Manfredi ha giustamente affermato: c’è bisogno di tutti. La politica però non può lasciare ancora una volta irrisolti i nodi principali. Non è con le leggi elettorali che nascono i sistemi politici ma esattamente il contrario. Quindi, uscendo dalle formule a volte contorte delle alleanze, il Governo Draghi va verso una conclusione complessa del suo mandato. La riforma della giustizia o quella fiscale non sembrano temi facilmente condivisibili nell’attuale maggioranza.

Dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica è probabile che le spinte per tornare al voto siano molto forti. È probabile che non si giunga a una condivisa riforma della legge elettorale e quindi si rivoti con il Rosatellum. Il voto dell’autunno nelle grandi città sarà quindi una grande prova di orchestra generale. Guai a sottovalutarne la portata.

Il doppio turno non ha aiutato, in particolare nel centrosinistra, a percorrere una strada chiara. Napoli per una volta è un’eccezione largamente positiva. Rinnovare la classe dirigente, mobilitare gli elettori del Nord, del centro, del Sud del Paese intorno a una proposta politica e programmatica convincente è la sfida che i due nuovi leader nel campo progressista debbono vincere. Ad oggi, vi sono forti motivi di preoccupazione e qualche buon segnale. Napoli può fare da apripista ad un cambiamento nazionale.

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