A tre giorni dalla decisione di scarcerare due degli indagati per la strage del Mottarone, 14 morti tra cui due bambini, la giudice per le indagini preliminari di Verbania, Donatella Banci Buonamici, ai cronisti difende la sua ordinanza in cui ha sostenuto che su il direttore tecnico Enrico Perocchio e il gestore Luigi Nerini non c’erano “indizi, ma solo suggestioni”.

“Dovreste ringraziare che il sistema è così, dovete essere felici di vivere in uno Stato in cui il sistema fa giustizia o è una garanzia e invece sembra che non siate felici, l’Italia è un paese democratico” dice la magistrata che ha concesso i domiciliari, come richiesto dalla difesa, a Gabriele Tadini, il caposervizio che ha ammesso l’applicazione dei forchettoni sui freni per non fermare l’impianto. “L’ho scritta la mia posizione – ha detto facendo riferimento all’ordinanza – Ho osservato che non sussisteva il pericolo di fuga, non esisteva – ha spiegato il gip – per le motivazioni che ho scritto, non ho ritenuto per due persone la sussistenza dei gravi indizi, non perché non abbia creduto a uno (ossia a Tadini, ndr), perché ho ritenuto non riscontrata la chiamata in correità, che deve essere dettagliata, questa non lo era ed era smentita da altre risultanze”. La giudice Donatella Banci Buonamici ha poi aggiunto: “Il pm fa il suo lavoro bene e io faccio il mio lavoro credo altrettanto onestamente, è il sistema, dovreste ringraziare che il sistema è così, dovete essere felici di vivere in uno Stato in cui il sistema fa giustizia o è una garanzia e invece sembra che non siate felici, l’Italia è un paese democratico”.

Intanto in Procura a Verbania è la giornata del vertice tra il consulente Giorgio Chiandussi, professore del Politecnico di Torino e investigatori e inquirenti, coordinati dalla procuratrice Olimpia Bossi. Un incontro che servirà per iniziare a mettere nero su bianco gli elementi tecnici su cui verterà il quesito della consulenza nella forma dell’accertamento irripetibile. Accertamento che porterà anche a garanzia a nuove iscrizioni nel registro degli indagati. Sotto la lente c’è l’operatore che su ordine di Tadini non tolse i ceppi dai freni di emergenza quel 23 maggio, ma anche altri dipendenti e manutentori, ditte comprese.

Bisognerà andare a verificare, spiega un investigatore, la presunta “connessione” tra i malfunzionamenti ai freni, di cui si lamentava Tadini dicendo di averli a più riprese segnalati a Perocchio da fine aprile, e l’incidente. E se quei problemi che facevano bloccare la cabina, tanto che almeno “10 volte” in 15 giorni il caposervizio piazzò i forchettoni sulle ganasce, potessero essere un “campanello d’allarme” della debolezza del cavo che poi si spaccò, facendo volare la cabina, non più salvata dai freni di emergenza. Gli accertamenti in vista, ha spiegato Bossi, sono proprio “finalizzati a capire perché la fune si è rotta e si è sfilata e se il sistema frenante aveva dei difetti”. Tema d’indagine è pure sapere se è accaduto e quando, come indicato da Tadini, il blocco della cabina dovuto alla “pressione dei freni” che scendeva “a zero”. Intanto, per metà mattinata sulle pendici del Mottarone sono attesi per un sopralluogo gli ispettori della commissione di indagine ministeriale.

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