Lo stacco è doloroso. A volte anche troppo. Perché l’idea di chiudere in naftalina maglietta e pantaloncini si porta dietro una copiosa dose di sofferenza. Tanto fisica quanto psicologica. Il problema è legato soprattutto al passaggio improvviso: un passato sotto i riflettori si stempera in un futuro nebuloso. Tutto in un istante. Un tema che per decenni ha trovato uno spazio residuale all’interno della narrazione sportiva, ma che ora non può più essere nascosto sotto il tappeto. A lanciare l’allarme è stata la Fifpro, la federazione internazionale dei calciatori professionisti, che nei giorni scorsi ha pubblicato un report piuttosto inquietante. Il 33.5% dei calciatori che si sono ritirati dopo i 35 anni soffre di dolori articolari. Colpa delle botte, delle partite ravvicinate, della necessità di stringere i denti anche quando non si è al meglio. Lo scenario più tetro, però, è un altro.

E non riguarda la sfera fisica, ma quella mentale. L’11% dei calciatori che si sono ritirati soffre di stati d’ansia più o meno acuti, il 13% manifesta sintomi compatibili con la depressione, il 28% convive con disturbi del sonno. E non è ancora finita. Perché un ex giocatore su quattro ha problemi di alcolismo. È una realtà molto diversa da quella che siamo abituati a maneggiare, una situazione che spesso viene fagocitata dal racconto machista, superomista e populista del calcio. Ammettere di avere un problema viene considerato un segno di debolezza. Colpa dello stereotipo che dipinge tutti i calciatori come giovani e belli, come gli eroi di Guccini. E dell’idea che alla fine i soldi possano comprare tutto. Anche un paio di ginocchia. Anche la felicità. Così nei giorni scorsi Fifa, Fifpro e Università di Amsterdam hanno annunciato la nascita dell’After Career Consultation Programme, un progetto che aiuterà i calciatori che sono andati in pensione negli ultimi dieci anni a ottenere sostegno psicologico e medico. Il programma partirà già a giungo e verrà portato avanti in 42 centri medici di eccellenza dislocati in 30 paesi.

Il direttore medico della Fifa, Andrew Massey, ha utilizzato toni trionfalistici: “Fifa e Fifpro stanno unendo le forze per mettere a disposizione di un gran numero di ex giocatori in tutto il mondo cure medice di prima classe – ha detto – L’obiettivo di questo progetto è supportare i calciatori che si sono ritirati, in una fase della loro vita che vede un enorme cambiamento”.

Un’idea rivoluzionaria. Ma fino a un certo punto. Perché per una volta l’Italia è arrivata prima degli altri. Da nove anni, infatti, l’Aic, la nostra Assocalciatori, porta avanti programmi per aiutare la transizione degli atleti verso il loro post carriera. “Il primo problema è che ogni calciatore, dopo il ritiro, cerca di rimanere nel proprio ambiente – dice a ilfattoquotidiano.it Umberto Calcagno, presidente dell’Aic – Il 97% degli ex calciatori prende il patentino da allenatore. Ma solo il 5% riesce a lavorare nel mondo del calcio per tutta la vita”.

Per chi si trova a uscire dal giro, dunque, il rischio è di farsi risucchiare da un senso di frustrazione. Un grande errore, visto che secondo Calcagno gli ex calciatori possono essere molto appetibili in parecchi settori. “Dobbiamo aprirli a tutto il mondo che li circonda – aggiunge – il nostro orientamento post carriera punta molto sulla valorizzazioni di tutte quelle abilità che i calciatori hanno sviluppato nella loro carriera e che nel mondo del lavoro possono essere un punto di forza in diversi ambiti. Penso alla capacità di sopportare lo stress e la pressione, di stare in gruppo, di generare una competizione positiva con i colleghi. Questo è il nostro grande valore aggiunto e dobbiamo riadattarci a nuove situazioni senza sentirci decontestualizzati”.

Calcagno, però, ha anche un’altra grande sicurezza. Perché c’è un settore dove gli ex calciatori possono ritagliarsi uno spazio importante. “È la realtà degli agenti di vendita – dice – È un’occupazione che calza a pennello a chi ha giocato a calcio perché ha girato spogliatoi, si è adattato in contesti molto diversi, ha sviluppato empatia, sa fare rete. Non è un caso che il miglior agente in Italia di una grandissima azienda internazionale sia proprio un ex calciatore. Il fatto è che in molti non sanno di avere certe attitudini, devono superare l’idea che nel post carriera ci sia solo il mondo del calcio”. Proprio in quest’ottica l’Aic ha messo a punto una serie di strumenti importanti per guidare i calciatori nella seconda fase della loro vita. I giocatori in attività possono contare su “Facciamo la Formazione”, un programma che vuole valorizzare le competenze acquisite nel calcio per poi applicarle in altri ambiti lavorativi.

Altra realtà importante è quella del corso di formazione per il ruolo di Segretario Amministrativo, che ha consentito finora a 65 ex calciatori di continuare la propria carriera nel mondo del calcio, in una delle squadre iscritte alla Lega. E poi ancora il “Corso di Studi in Scienze Motorie Curriculum Calcio”, organizzato in collaborazione con l’Università Telamatica San Raffaele, il percorso da “Intermediario Sportivo”, il corso “Da calciatore a imprenditore”, organizzato in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo, che vuole trasmettere ai giocatori che vogliono realizzare e gestire un impianto sportivo o una scuola calcio tutte le conoscenze economiche e pratiche per potare avanti il loro progetto. La partita è difficile e per una volta l’Italia non ha scelto di fare catenaccio. Perché stavolta ha giocato d’anticipo.

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