Prima sulle tracce dei pazienti-zero che hanno portato in Veneto, un anno fa, il Covid proveniente dalla Cina ed ora la variante indiana. Circa un mese fa il professor Andrea Crisanti aveva comunicato a Giuliano Martini, sindaco di Vo Euganeo, in provincia di Padova, di aver individuato la coppia di turisti cinesi che nel gennaio 2020 era arrivata in Italia, proveniente da Wuhan. Con una comitiva si erano recati a Verona, Venezia e Parma, entrando in contato con numerosi italiani. Ma quel ceppo era stato poi riscontrato a Vo, dove si è verificato il primo decesso italiano a causa del virus. Per questo il sindaco aveva lanciato un appello a tutti i concittadini affinché cercassero di tornare a quei giorni per ricordare eventuali contatti che portassero ai cinesi, per ricostruire la catena della trasmissione.

Una cosa analoga si sta facendo con la famiglia che ha portato in Veneto la variante indiana. In questo caso la situazione è più semplice, nel senso che è stata ricostruito il percorso che i due hanno fatto, essendo rientrati dall’India. Ma la situazione si complica perché laggiù hanno partecipato alle abluzioni nel Gange, il fiume sacro per centinaia di milioni di persone. E su quelle rive c’era la folla. La famiglia è composta da padre, madre e due figli piccoli. Vivono in provincia di Vicenza, nella zona di Villaverla. Erano partiti a inizio aprile volando in India, dove hanno partecipato al pellegrinaggio del Kumbh Mela (foto). Si tratta di un raduno oceanico sul Gange. Sono poi tornati in Italia e si sono sottoposti regolarmente alla quarantena. Anche prima di partire avevano effettuato i tamponi e avevano seguito le norme per chi viaggia all’estero. Ma dai tamponi è spuntata la sorpresa: due sono risultati positivi. Il virus è stato sequenziato ed è stata scoperta la “variante indiana”.

Gli spostamenti al rientro in Italia – La famiglia è stata sottoposta ad accertamenti da parte dell’Usl Pedemontana e la scoperta non è stata rassicurante, visto che la variante potrebbe aggirare i vaccini. Il ritorno in Italia risale al 7 aprile. Dopo una settimana, il 14 aprile la scoperta della positività, in assenza di sintomi. Così nella casistica italiana è entrata la sigla B.1.617, equivalente alla variante indiana. Il padre ha 42 anni, la madre ne ha 33, i bambini sono un maschio di 9 anni e una femmina di 6 anni. Quando sono atterrati all’aeroporto di Orio al Serio hanno usato un taxi per tornare a casa. Quindi l’unico loro contatto è stato l’ignaro taxista, che però nel frattempo chissà quante altre persone ha trasportato sul suo automezzo. Arrivata nel Vicentino, la famiglia si è chiusa in casa per una settimana e quindi non vi sarebbero da segnalare particolari fattori di rischio in loco. Infatti, il Servizio d’Igiene e di sanità pubblica non ha neanche effettuato le operazioni di tracciamento. Commento del sindaco di Villaverla, Ruggero Gonzo: “Sono persone molto integrate che si trovano in Italia da molti anni e ha rispettato coscienziosamente le disposizioni e le regole”. Però in India hanno preso parte al pellegrinaggio prima che la Juna Akhara, la congregazione che lo organizza, decidesse – su pressione del governo – d’interrompere le cerimonie il 17 aprile. Non erano infatti riusciti a tenere sotto controllo la situazione, nonostante circa 200mila tamponi effettuati e circa 1.700 casi riscontrati.

I tamponi della famiglia indiana che vive nel Vicentino sono stati analizzati dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. “Le due persone che presentano la variante indiana sono in quarantena e non hanno trasmesso l’infezione alla famiglia – spiega la direttrice Antonia Ricci —. Forse un loro familiare è positivo, ma perché convivente. Il collegamento diretto con l’India è provato, il che vuol dire che non è un’infezione autoctona, ma proviene da qualcuno che rientra da quei Paesi. Sono ancora in fase di valutazione un altro paio di casi, di provenienza estera, ma la caratterizzazione non è stata ancora completata”.

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