Quanto attendibili sono i tamponi rapidi per scoprire il Covid? La domanda non se l’è posta solo il professor Andrea Crisanti, che a ottobre ne denunciò le carenze rispetto ai test molecolari, individuando un margine di errore di 3 casi su 10. Se la sta ponendo adesso anche il sostituto procuratore padovano Benedetto Roberti, titolare di un’inchiesta preliminare per frode in commercio (per ora senza indagati). Intende verificare se le percentuali di errore indicate dalle case farmaceutiche siano credibili o se invece la campagna su vasta scala con i test rapidi lanciata dalla Regione Veneto (ma non solo) fosse viziata da limiti legati alla capacità di accertamento degli infetti. Il che dimostrerebbe perché il Veneto ha conosciuto tra novembre e l’inizio di gennaio un’ondata devastante con un numero di morti (in quel periodo) superiore perfino alla Lombardia che però ha il doppio della popolazione del Veneto.

Il magistrato sta convocando persone informate sui fatti e ha cominciato proprio ascoltando il professor Crisanti, il quale ha ripetuto quello che diceva ad ottobre. ”Si ipotizza che l’utilizzo di massa dei test antigenici rapidi possa involontariamente favorire la diffusione di varianti non rilevabili, contribuendo così alla loro libera circolazione e all’inefficacia del loro contenimento”. Ieri il governatore Luca Zaia ha dichiarato: “Non sapevo dell’inchiesta, non so e non sono coinvolto”. Il direttore generale della sanità veneta, Luciano Flor: “Non vedo di cosa dovrei preoccuparmi. I test rapidi sono stati distribuiti anche dal governo e nel momento in cui abbiamo iniziato ad usarli erano l’unica alternativa al test molecolari, che oggettivamente, per via dei reagenti da reperire e delle macchine, aveva dei limiti. Sono stati un di più rispetto ai molecolari, che non abbiamo mai smesso di fare”.

È una storia di appalti, amministratori pubblici, medici e case farmaceutiche, per importi di alcune centinaia di milioni di euro, che merita di essere ricostruita. Alla fine si potrebbe scoprire che la Regione è stata parte lesa, ma si potrebbe anche verificare l’infondatezza dell’insistenza sui test rapidi che per qualche mese ha fatto dichiarare a Zaia: “Siamo i più bravi, facciamo più test rapidi di tutti”.

RAPIDI O MOLECOLARI? L’8 gennaio 2021 il ministero della Salute ha emanato una circolare in cui attestava che i tamponi rapidi di terza generazione sono quasi sovrapponibili ai più lenti, ma affidabili test molecolari. In Veneto la giunta regionale e la Direzione Prevenzione avevano festeggiato, leggendovi una conferma della linea perseguita a Nordest. In realtà la circolare aveva sancito definitivamente le falle diagnostiche dei tamponi rapidi di prima e seconda generazione, quelli denunciati dal professore Andrea Crisanti, che la Regione Veneto ha usato in modo massiccio, in quanto disponibili sul mercato. La circolare affermava: “Il test molecolare rappresenta il gold standard internazionale per le diagnosi di Covid-19 in termini di sensibilità e specificità”. Dei test rapidi, quelli di prima generazione (immunocromatografici lateral flow) e di seconda (a lettura immunofluorescente) hanno risultati più bassi. Solo “i test di ultima generazione (immunofluorescenza con lettura in microfluidica) sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai test molecolari”. Cioè quelli di terza generazione. Eppure ancora ieri, per difendere le scelte della Regione, la presidente della Commissione Salute, Sonia Brescacin (gruppo Zaia Presidente) ha dichiarato: “Una circolare ministeriale dell’8 gennaio stabilisce che i tamponi rapidi di prima e seconda generazione hanno la stessa validità dei tamponi molecolari”. La circolare, invece, si riferiva ai test rapidi “di ultima generazione, specie se utilizzati entro la prima settimana di infezione”.

REGIONE IN RETROMARCIA – Che le parole di Crisanti fossero profetiche, lo dimostrano le nuove direttive adottate il 14 gennaio dalla dottoressa Francesca Russo, responsabile della Direzione Prevenzione della Regione Veneto. Aveva disposto che al personale sanitario (che non si sentiva garantito dai semplici test rapidi, seppur ripetuti) venissero somministrati test molecolari o rapidi ma solo di terza generazione, non quelli di prima e seconda generazione.

APPALTI PER 200 MILIONI – Nel frattempo la Regione Veneto era così convinta della validità dei tamponi rapidi di prima e seconda generazione da aver attivato tre gare per l’acquisto di test rapidi e sistemi diagnostici, con una previsione di circa 200 milioni di euro. Il primo acquisto di soli 10mila test viene deciso da Azienda Zero il 14 agosto 2020 su indicazione di Roberto Rigoli, direttore della Microbiologia a Treviso, poi diventato responsabile di tutti i laboratori veneti. Alifax srl si aggiudica l’affidamento diretto con un’offerta pari a 131mila euro (10,80 euro a test). A metà settembre la prima grande fornitura (formalizzata ad ottobre), con il Veneto che fa da capofila di una cordata che comprende anche Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, provincia di Trento, Lazio e Piemonte. Il fabbisogno per due mesi è complessivamente di 3 milioni e 775mila test rapidi (rinnovabili per altri due mesi) e di sistemi diagnostici per 3 milioni 380 mila forniture. Il totale è di 148 milioni di euro, quasi 190 milioni considerando l’Iva. Il secondo appalto è stato bandito il 18 novembre (anche per vaccini antinfluenzali) ed è stato aggiudicato il 22 dicembre 2020, per una decina di milioni di euro, visto che riguardava stavolta solo il Veneto. In quei bandi era previsto l’utilizzo dei tamponi rapidi. Nel contratto c’era una clausola rescissoria, nel caso sul mercato comparissero nel frattempo prodotti più affidabili.

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