di Giuseppe Leocata *

Da tempo non si parla d’altro che di Covid, poi pure di tamponi e adesso anche di vaccini. Federico Fellini farebbe dire a uno dei personaggi de La voce della luna: “[…] se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire”.

Il ‘trattamento sanitario’ Il vaccino è considerato dalle ‘norme primarie’ una misura ‘raccomandata’ ma ‘non un obbligo’ e negli ambienti di lavoro questa è una delle misure che tutela il singolo lavoratore e la collettività (i terzi che transitano in ambiente di lavoro, le persone con cui essi vengono a contatto, loro stessi nella vita extra-lavorativa e i loro congiunti).

La normativa specifica prevede che il datore di lavoro disponga misure efficaci (“tecniche, organizzative e procedurali” e i dispositivi di protezione individuale) per eliminare, ridurre, contenere il rischio e a queste il lavoratore ha l’obbligo di attenersi; il datore di lavoro mette – quindi – a disposizione il vaccino, quale misura efficace contro il rischio per la SARS-Cov-2, ma non quello di imporre un ‘Trattamento Sanitario Obbligatorio’ non previsto, del resto, da alcuna legge e neanche dal d.lgs.81/08.

E’ opportuno ricordare, in merito alle vaccinazioni, che l’antitetanica – obbligatoria per alcune categorie di lavoratori – non causa epidemie diversamente del Covid; nonostante ciò l’Italia è la prima nazione in Europa per diffusione del tetano.

La scelta del sito per la vaccinazione Si potrebbe non essere contrari a priori alla effettuazione della vaccinazione in sedi diverse da quelle del Servizio Sanitario Pubblico ed optare anche per una sede aziendale; ma una scelta in questo senso andrebbe discussa, condivisa e accettata da tutte le associazioni dei Medici Competenti, senza frammentazioni, e attuata a seguito di un confronto con il Servizio Sanitario Pubblico.

Questa opzione è ipotizzabile in realtà di grandi dimensioni ma non nelle piccole imprese, che non possono attrezzarsi a questo fine in termini di locali idonei e di aspetti logistici e non possono farsi carico di un compito che – istituzionalmente – spetta al settore pubblico.

In specifico, i locali in cui effettuare la vaccinazione devono avere i necessari requisiti minimi di carattere igienico sanitario (ambiente sterile, idonee sale di attesa per verificare impatto e evitare assembramenti, ecc.); critici sono poi gli aspetti correlati a logistica, approvvigionamento, trasporto e stoccaggio dei vaccini (consideriamo i -70° previsti per il Pfizer!), preparazione e inoculazione dei vaccini; in loco devono poi essere presenti sia attrezzature per le emergenze e personale che sappia utilizzarle, sia un’ambulanza e/o un pronto soccorso a breve distanza dal luogo di lavoro o dal sito in cui si effettuano le vaccinazioni. Il Medico Competente deve inoltre concordare sia con il datore di lavoro sia con i dirigenti e i preposti l’organizzazione delle sedute vaccinali, in modo tale da non lasciare sguarnito alcun reparto lavorativo in caso del possibile malessere temporaneo dei lavoratori causato dalle dosi del vaccino e organizzare e seguire tutti gli aspetti “burocratici”.

I lavoratori da vaccinare e il Medico Competente La vaccinazione anti-Covid19 potrebbe essere effettuata a seguito di previ precisi accordi sanciti tra aziende e Medici Competenti e soltanto a titolo facoltativo; nessuna pressione può essere esercitata da parte delle imprese né verso i Medici Competenti né verso i lavoratori; nessuno di questi deve subire ritorsioni in caso di mancata adesione alla proposta aziendale.

In proposito è piuttosto da favorire e indirizzare l’azione aziendale, attraverso la collaborazione con il Medico Competente e i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, verso l’acquisizione del consenso e della fiducia da parte dei lavoratori.

In questo contesto va sottolineato che il Medico Competente non è un “pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio” ma – in genere – un libero professionista, un consulente del datore di lavoro e non può essere lasciato da solo né possono essere scaricate su questa figura responsabilità e oneri molto gravosi. Egli ha delle precise e inderogabili responsabilità e obblighi in merito alla sorveglianza sanitaria (visite mediche periodiche, visite a richiesta, visite preventive e, specie in questo periodo, visite a ‘lavoratori fragili’).

Va valutata, quindi e con attenzione, l’opportunità di affidare al Medico Competente questo compito in relazione alla sua esperienza nel settore e soprattutto alle sue capacità (conoscenze e abilità) di intervento in caso di reazioni avverse al vaccino. Inoltre, si ritiene opportuno che il Medico Competente – qualora accetti di effettuare questa prestazione – si tuteli con uno ‘scudo legale’, un’assicurazione che contempli espressamente una specifica tutela in caso di danno da vaccino a carico di un lavoratore.

Aspetti giuridici aperti e controversi: il lavoratore che rifiuta di vaccinarsi I recenti decessi in relazione alle dosi somministrate di AstraZeneca e, pur con le dovute successive smentite, hanno avuto un effetto controproducente sulle persone, molti cittadini e lavoratori manifestano ancora maggiore paura a vaccinarsi. Un’azione capillare del Servizio Sanitario Pubblico e dei professionisti che si occupano della problematica devono essere indirizzati alla comunicazione trasparente e ad invogliare le persone a vaccinarsi.

Nel caso in cui alcuni lavoratori decidessero di non vaccinarsi e tenendo conto che l’idoneità è rivolta senz’altro alla mansione specifica ma anche all’ambiente in cui questi e altri operano e in cui transitano terzi, il Medico Compente – sentito il datore di lavoro e in accordo con RSPP e RRLLS – può: provvedere ad attuare alcune misure di tutela: effettuare le visite mediche anche con periodicità ravvicinate, al fine di monitorare eventuali problematiche correlate alla pandemia, in un’ottica gestionale che miri a ricostruire la rete – oggi carente – con il Servizio Sanitario Pubblico e con i Medici di Medicina Generale); prevedere un allontanamento temporaneo del lavoratore, con tempi definiti e modalità da pattuire; concordare con RSPP ed RRLS l’attuazione di possibili ‘accomodamenti ragionevoli’ per garantire un ambiente sano per tutti i lavoratori.

Non vanno, inoltre, tralasciati: formazione, informazione e addestramento dei lavoratori in merito a questo rischio e alla sua corretta gestione. Senza il dialogo, la condivisione e il confronto, una linea meramente impositiva rischia di causare il fallimento dell’intero piano di contenimento del rischio.

Ritengo che sia molto pericoloso, infine, sostenere posizioni quali quelle di coloro, anche giuslavoristi, affermano che nel caso in cui il lavoratore rifiuti la vaccinazione, egli vada dichiarato inidoneo al lavoro, gli vada negato l’accesso al luogo di lavoro, possa essere licenziato per tale ragione e, addirittura, denunciato per pandemia colposa o dolosa. Sostenere posizioni simili, oltre a non tenere conto delle altre misure di tutela nell’ambiente di lavoro come sopra descritto e del caos correlato alla carenza di vaccini e della loro gestione, porterebbe senz’altro ad aggravare la confusione e farebbe esplodere un conflitto sociale che non possiamo assolutamente permetterci.

Non resta che tornare al “C’è solo la strada da cui ricominciare” di Giorgio Gaber e tenere in mente nel nostro quotidiano che “Nessuno si salva da solo” (Papa Francesco).

* Medico del lavoro, Ambulatorio Medicina Preventiva Lavoratori – Ospedale Maggiore Policlinico Milano, Esperto problematiche “Disabilità/ vantaggio Sociale e Lavoro”.

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