Derek Chauvin è stato giudicato colpevole per l’omicidio di George Floyd. La giuria ha ritenuto Chauvin responsabile di tutti e tre i capi d’accusa di cui era imputato: omicidio di secondo e terzo grado e omicidio colposo. Chauvin rischia oltre 40 anni di carcere. Subito dopo la lettura della sentenza da parte del giudice, Chauvin è stato ammanettato e condotto via dagli agenti della polizia della contea di Hennepin. Il condannato ha fatto un breve cenno di saluto al suo avvocato e ha lasciato l’aula.

Si conclude così uno dei processi più tesi, drammatici, significativi della recente storia americana; un processo destinato a segnare la storia delle relazioni razziali negli Stati Uniti. La giuria ha raggiunto il verdetto in un tempo relativamente breve. Solo dieci ore di deliberazioni. Di solito un verdetto in tempi così brevi tende a favorire l’imputato: significa infatti che i giurati non hanno preso davvero sul serio le tesi dell’accusa. In questo caso, probabilmente, i giurati hanno ritenuto convincenti e definitive le prove contro Chauvin. Ha contato, soprattutto, il video dell’uccisione di Floyd, mostrato durante le udienze.

Le arringhe finali – Lunedì mattina, prima che la giuria si ritirasse in una camera d’hotel per deliberare, accusa e difesa si erano alternate in aula per le arringhe conclusive. Entrambe avevano chiesto ai dodici giurati (sette donne e cinque uomini) di “usare il senso comune”. Solo che per l’accusa il senso comune era “credere ai propri occhi”, a quanto si è visto nel video girato da un cellulare sulla scena dell’omicidio: quindi Derek Chauvin che per 9 minuti e 29 secondi tiene il suo ginocchio premuto sul collo di un uomo nero, a Minneapolis, il 25 maggio 2020. Per la difesa senso comune era invece capire il contesto, non lasciarsi ingannare da pochi frammenti video che escludono tutto ciò che è avvenuto prima e intorno la scena dell’omicidio.

Questo caso è esattamente quello che voi avete pensato fosse quando per la prima volta avete visto quel video – aveva detto Steve Schleicher, il procuratore che per l’accusa ha tenuto l’arringa finale -. È quello che avete provato nel vostro stomaco. È quello che ora sentite nel vostro cuore”. L’avvocato di Derek Chauvin, Eric J. Nelson, aveva invece chiesto di guardare al di là dell’apparente evidenza “di qualche fotogramma raggelato dal fermo immagine”. Nelson aveva soprattutto enfatizzato il valore dei 17 minuti che precedono il ginocchio di Chauvin puntato sul collo di Floyd. In particolare, Floyd avrebbe assunto droghe prima dell’arresto e poi attivamente resistito agli agenti. “Guardate alla totalità delle circostanze”, aveva implorato Nelson.

Le tesi di accusa e difesa – L’accusa ha cercato in ogni modo di non far apparire il processo a Chauvin come una messa sotto accusa dell’intero dipartimento di polizia. “L’imputato non è sotto accusa per essere un agente – ha più volte ribadito Schleicher durante le udienze -. Non è sotto accusa per quello che era. È sotto accusa per quanto ha fatto”. Come già molte volte nelle quasi tre settimane di processo (durante le quali sono stati ascoltati 45 testimoni), il procuratore ha riaffermato un principio: che Chauvin con la sua condotta avrebbe fatto ricorso a una violenza eccessiva e non giustificata, quindi violato norme e regolamenti del suo stesso corpo. “Non si è trattato di mantenimento dell’ordine pubblico. Si è trattato di omicidio”, ha detto Schleicher, che ha sottolineato ancora una volta come sia stata senza dubbio la pressione del ginocchio di Chauvin a provocare l’asfissia e dunque la morte di Floyd (tesi confermata in aula, durante il processo, dal “medical examiner” di Minneapolis, Andrew Baker, secondo cui la compressione del collo di Floyd avrebbe provocato un minor afflusso di ossigeno al cuore e quindi l’infarto).

L’avvocato della difesa ha parlato durante le udienze ha cercato di smontare, una dopo l’altra, le tesi dell’accusa; cercando soprattutto di insinuare qualche dubbio in almeno uno dei giurati – il verdetto finale richiedeva infatti l’unanimità. Prima di tutto, Nelson ha indicato come la tesi dell’uso della forza eccessiva non fosse sostenibile. “Un agente ragionevole – ha detto Nelson – deve considerare molte cose in un brevissimo lasso di tempo”. Tra queste: Chauvin ha dovuto quel giorno tenere conto se il sospetto “fosse sotto l’effetto delle droghe”, in che modo resisteva all’arresto, che tipo di minaccia rappresentasse la folla di passanti raccolta attorno agli agenti. “L’agente Chauvin non ha coscientemente cercato di usare una forza illegittima – ha detto Nelson -. Il problema è che questi agenti fanno il loro lavoro in situazioni altamente stressanti. È tragico”. La reazione di Chauvin sarebbe quindi stata giustificata dal fatto che Floyd aveva assunto sostanze stupefacenti e dalla paura di essere aggredito dalla folla circostante. Per dimostrarlo, Nelson ha mostrato, anche lui, alcuni frammenti video, in cui si vede Chauvin mostrare il bastone contro la folla che cerca di intervenire, proprio nel momento in cui Floyd esala gli ultimi respiri.

La causa della morte di George Floyd Nelson ha anche evitato di discutere quanto spiegato in aula da diversi esperti medici, concordi nel dire che è stato il mancato afflusso di ossigeno nel corpo di Floyd, quindi l’asfissia, a causarne la morte. L’avvocato della difesa ha piuttosto cercato di sottolineare le discrepanze nelle testimonianze, spiegando che problemi di cuore, ipertensione e l’uso prolungato da parte di Floyd di fentanyl e metanfetamine hanno avuto un ruolo significativo nella sua morte. “Non ha senso suggerire che questi fattori non abbiano avuto un ruolo. Sarebbe irragionevole”, ha spiegato.

Se per la difesa la folla di passanti ha assunto un atteggiamento intimidatorio nei confronti degli agenti, per l’accusa questa stessa folla ha rappresentato un “bouquet di umanità”, che ha reagito all’uccisione di un uomo nell’unico modo possibile: con l’indignazione, cercando di salvare un uomo che è stato barbaramente ucciso. Lo ha detto chiaramente Jerry W. Blackwell, altro rappresentante dell’accusa (per lo Stato), intervenendo dopo l’arringa della difesa. Blackwell ha citato la bambina di 9 anni che ha assistito, tra la folla, alla morte di di Floyd, e ha detto ai giurati: “Non è difficile capire quello che ha capito una bambina di 9 anni. E cioè, quanto sia fondamentale per la vita il respiro”. Per confutare la tesi dell’uso della droga e delle “condizioni preesistenti”, Blackwell ha poi detto: “Floyd ha vissuto 17026 giorni della sua vita senza morire per uso della droga o condizioni preesistenti”. Sarebbe quindi stato l’incontro con Derek Chauvin a essergli fatale.

Blackwell si è anche opposto all’idea che la difesa ha continuato a sostenere per tutta la durata del processo, e cioè che “ci siano sempre due punti di vista in una storia” e sia quindi impossibile arrivare alla verità. “Quello che stiamo cercando qui è una verità, non semplicemente delle storie” ha detto, concludendo con la frase più forte ascoltata nell’aula di Minneapolis. Alla difesa, che ha sostenuto che Floyd sia morto “per il cuore ingrossato”, Blackwell ha replicato: “La verità è che George Floyd è morto perché il cuore di Derek Chauvin è troppo piccolo”.

L’imputato e il clima fuori dal tribunale Chauvin ha assistito alle arringhe finali in silenzio, senza dare segni di particolare emozione, fastidio, tensione. Si è brevemente calato dal viso la mascherina, che ha indossato per gran parte del processo. L’imputato ha mantenuto in questi giorni un atteggiamento al tempo stesso presente e distante. Non si è lasciato quasi vedere in viso e quando si è trattato di salire sul banco per la sua testimonianza (ciò che avrebbe potuto offrire qualche dettaglio in più sulla sua vita, quindi “umanizzarlo” agli occhi dei giurati) ha preferito declinare. Invocando il Quinto Emendamento, quindi il diritto a non auto-incriminarsi, Chauvin ha rifiutato di testimoniare. L’impassibilità dell’imputato ha fatto da contraltare al clima particolarmente teso fuori dell’aula. Manifestazioni, proteste, scontri con la polizia si sono succeduti durante le udienze e sono diventati ancora più accesi dopo la notizia dell’uccisione alla periferia di Minneapolis, sempre per mano di un’agente di polizia, di Daunte Wright, un 20enne afro-americano.

Ha scatenato polemiche e richieste di dimissioni la partecipazione di una deputata democratica, Maxine Waters, proprio alle proteste a Brooklyn Center per la morte di Daunte Wright. Waters ha parlato alla folla dei manifestanti, ha detto che “bisogna restare in strada” e “inasprire il conflitto” nel caso Chauvin venisse assolto. L’avvocato della difesa ha immediatamente chiesto l’annullamento del processo: una deputata degli Stati Uniti avrebbe infatti sottoposto i giurati a pressioni indebite. Il giudice Cahill ha rifiutato la richiesta ma ha anche detto che “la deputata Waters potrebbe aver dato la possibilità di annullare l’intero processo in appello”. Clamore e sconcerto hanno anche suscitato le dichiarazioni del presidente Joe Biden, a poche ore dall’uscita della sentenza. Parlando dallo Studio Ovale della Casa Bianca, Biden ha detto di “pregare per un giusto verdetto” e che le prove presentate durante il processo sarebbero state “clamorose”. L’intervento del presidente a processo in corso è apparso fuori luogo a molti (anche se la giuria era “sequestrata”, quindi non in grado di ricevere notizie dall’esterno). Dopo la lettura del verdetto, centinaia di persone hanno cominciato a defluire per le strade di Minneapolis. Manifestazioni sono attese per tutta la notte in città.

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