L’Ocse che promuove il Reddito di Cittadinanza è la notizia del giorno.

Cosa ne pensava quest’organizzazione un paio d’anni fa lo riportavano i giornali con raffiche di titoli apocalittici: “favorirà il lavoro nero”, “scoraggerà la ricerca di lavoro”, “il contributo è troppo elevato”, “penalizzerà le famiglie numerose”.

Più volte nel ruolo di sottosegretario al Lavoro mi sono trovato a svolgere un lavoro “diplomatico” per spiegare ai rappresentanti e gli esperti di questa organizzazione che si stavano sbagliando:

– nel 2018 al Ministero del Lavoro in un faccia a faccia con la capo economista Laurence Boone e la sua delegazione;
– alla fine dello stesso anno a Parigi nel corso di una conferenza di secondo sulla “Job Strategy” organizzata dall’Ocse;
– nell’aprile del 2019 replicando a quanto scritto nel “Rapporto sull’Italia”.

Sul sito del Ministero c’è ancora questa mia dichiarazione del maggio 2019:

“Sono sicuro che presto l’Ocse osserverà risultati positivi anche nella lotta alla povertà. I primi riscontri sul Reddito di cittadinanza, a cui l’Organizzazione nelle scorse settimane ha guardato con un po’ di scetticismo, dimostrano un contributo fondamentale per il sostegno di famiglie a rischio di esclusione sociale, le quali finalmente tornano ad accedere a beni semplici ma di prima necessità, contribuendo al benessere e alla pace sociale”.

Dalle posizioni iniziali, fortemente critiche pur appoggiando l’idea di introdurre misure contro la povertà, oggi l’Ocse arriva a dirci che avevamo ragione: “La rete di sicurezza sociale è stata radicalmente migliorata con il regime del Reddito di Cittadinanza, che introduce maggiori benefici per le famiglie insieme a condizioni più rigorose”.

Vanno aggiunte un paio di considerazioni.

Ponendo in luce l’incremento delle disuguaglianze per effetto della pandemia, la stessa relazione che “promuove” il Reddito di Cittadinanza invita ad accelerare gli interventi sul fronte delle politiche attive per il lavoro.

Riconoscendo un ruolo di guida all’Anpal; sostenendo la necessità di un potenziamento delle figure da cui dipendono la formazione, l’orientamento e l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro; chiedendo che “la protezione sociale sostenga l’ingresso dei beneficiari nel mercato del lavoro e l’accesso al reddito da lavoro”, credo che l’Ocse ci inviti a proseguire sulla strada già intrapresa nel 2018: quella che ci ha portato, durante il governo Conte I, a investire nel potenziamento dei centri per l’impiego, ad assumere migliaia di nuovi operatori, più in generale a mettere in collegamento la protezione sociale e le politiche attive per il lavoro anche attraverso la fondamentale figura dei navigator.

Nel panorama internazionale sembra insomma essersi fatta strada la certezza secondo cui la lotta alle disuguaglianze e le politiche per il lavoro chiedono investimenti crescenti e una visione a lungo termine, oltre che una nuova centralità del settore pubblico.

Gli effetti della pandemia – devastanti tanto per i lavoratori quanto per le imprese – hanno alimentato questa consapevolezza. L’auspicio è che servano anche all’Italia a uscire da un provincialismo mediatico e da un opportunismo politico che hanno tentato di ostacolare un giusto processo di riforma innescato ormai più di due anni fa.

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