Tra le possibili ipotesi sul destino di Autostrade per l’Italia nessuno ha considerato la più ovvia, cioè l’incursione di un nuovo offerente. Ovvia, perché quei 3000 km a pedaggio – ampiamente ammortizzati e trafficati – sono una macchina da soldi, perché in Italia le concessioni sono storicamente favorevoli ai gestori e i controlli sugli investimenti ai minimi termini. Insomma tra proroghe, eventuali “buone uscite” a fine corsa e tariffe crescenti, c’è da fare un bel po’ di soldi. Un peccato lasciare tutto allo Stato, tanto più se lo Stato stesso – che a rigor di logica è l’unico proprietario della rete stradale e autostradale – si affida al mercato.

Ricapitoliamo. Dopo il crollo del ponte Morandi il governo Conte decide di subentrare ad Atlantia (Benetton) nel controllo di Autostrade, attraverso Cassa depositi e prestiti (Cdp), per poi quotarla in Borsa e trasformarla in una public company, ossia una società ad azionariato diffuso. Un’operazione impensabile fino a qualche anno prima, abituati come siamo al dominio incontrastato dei concessionari. Ma quel progetto ha un tallone di Achille: tutto deve passare dal mercato. E se scegli il mercato devi anche accettarne le conseguenze, ad esempio che la spagnola Acs offra un miliardo in più di Cdp.

Che poi sia un gioco al rialzo a uso e consumo della famiglia Benetton – socia di Acs nel gruppo Abertis, che gestisce le autostrade spagnole e di mezza America Latina – cambia poco. Il rischio semmai è che l’operazione vada a buon fine e nasca un polo autostradale paneuropeo Aspi-Abertis a controllo congiunto Acs-Atlantia, con percentuali tutte da stabilire. A quel punto le autostrade italiane, uscite dalla porta, potrebbero benissimo rientrare dalla finestra di casa Benetton, perfino rafforzata a livello europeo. C’è da chiedersi se non sarebbe stato meglio revocare la concessione senza esitazioni. Alcuni analisti calcolarono indennizzi per 12-13 miliardi, cifra non molto lontana dai 9-10 miliardi della quota di controllo a carico di Cdp, al netto degli strascichi giudiziari.

Se dovesse andare in porto il disegno italo-spagnolo c’è almeno da augurarsi che lo Stato rimetta mano alla convenzione in un’ottica, diciamo così, liberale. Sarebbe già una svolta. Consentire 1 miliardo di utili all’anno a scapito degli investimenti, per dirne una, non va certo in quella direzione, insieme a tutte le proroghe e agevolazioni tariffarie in capo ai concessionari.

Ma un’altra riga indelebile andrebbe tirata sugli indennizzi per revoca anticipata nei casi di grave inadempimento, per quanto discussi sul piano giuridico, nei quali rientra evidentemente la tragedia del ponte di Genova. Una norma odiosa, che dopo aver bloccato la revoca e dilatato a dismisura i tempi di dismissione rischia ora di premiare gli stessi gestori.

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