I notiziari ci informano che, dopo anni di denunce pubbliche sulle forniture di armi italiane alla Turchia, sarà forse quest’ultima a rimandare una commessa con Leonardo per ripicca, dopo che Draghi ha detto che con i dittatori si deve cooperare ma con franchezza. Il regime di Ankara non sembra volere invece franchezza, ma un commercio usualmente ipocrita: osservare in silenzio le sue politiche contro dissidenti, donne e curdi (e la riorganizzazione istituzionale del jihad internazionale che porta avanti dalla Libia al Kashmir, passando per Azerbaijan e Siria) in cambio del blocco dei profughi verso l’Europa (che, sia detto per inciso, è tutto ciò che interessa non solo a Charles Michel, ma anche a Von Der Leyen e a un intero ceto politico europeo, che ben altre poltrone intende salvare).

L’Italia è la prima ad essere sensibile alle ritorsioni commerciali: è stata capofila mondiale degli investimenti in Turchia nel 2020, proprio dopo che l’ineffabile Di Maio aveva detto di aver sospeso almeno il commercio delle armi per l’invasione del Rojava siriano. I vertici turchi hanno invece confermato che è proseguito senza soluzione di continuità.

La Turchia contesta all’Italia non soltanto i toni, ma il merito: il ministro degli esteri Çavuşoğlu ha fatto notare che Erdogan non è un dittatore perché è stato eletto. Una cosa esclude l’altra? I regimi detti autoritari o “dittatoriali” hanno sempre celebrato elezioni. Sono anzi proprio le procedure elettorali a dare adito a queste accuse: il criterio per includere o escludere formazioni politiche e candidati, o per assicurare che il voto sia effettivamente libero e segreto. Su questo le repubbliche liberali, popolari, islamiche e socialiste si sono accusate e affrontate, nel tempo, attorno al concetto di democrazia. Oggi assistiamo però a fenomeni che un tempo sarebbero apparsi ibridi, come la Turchia o la Russia: regimi brutali che ammettono non soltanto l’intera popolazione al voto, ma anche un’ampia gamma di candidati e partiti con posizioni diverse.

Si parla per questo di “autoritarismi competitivi”: la competizione spettacolare, poliziesco-militare, giudiziaria e (soltanto infine) elettorale produce il consenso esaltato di molti e il timore disincentivante di tanti altri, che finiscono per contare poco, se non pochissimo. Il monopolio mediatico di Erdogan, che ha imparato dalla sua lunga amicizia con Berlusconi, si accompagna a carcerazioni di massa per oppositori e giornalisti (in questo allievo di Putin) e a invasioni militari per “combattere il terrorismo” che ha imparato dai Bush (anche se per Erdogan si tratta di gruppi non islamisti, ma della sinistra curda).

Tanto gli elettori quanto i candidati si presentano alle tornate elettorali turche, così, in un clima di intimidazione sociale e psicologica che favorisce il voto conformista. Non è tutto qui: quando sono stato Osservatore internazionale dell’Hdp alle elezioni del 2015 (epoca precedente l’evoluzione iper-autoritaria del 2016) la presenza di militari nei seggi (e civili armati a loro supporto) era capillare, mentre i candidati del partito di Erdogan se la davano a gambe con scatoloni pieni di voti di fronte alla cittadinanza attonita, inseguiti da impotenti oppositori.

È quindi vero che l’attuale Turchia, malgrado la competizione (anche) elettorale che vi ha luogo, non rispetta gli standard liberali cui Draghi si riferiva. Giova però non dimenticare, e noi europei dovremmo saperlo meglio di chiunque altro, che i dittatori non sono privi di connessione col popolo, mentre i liberali a volte sì. Prendiamo l’iconica sequenza del “sofa-gate”.

Erdogan ha agito consapevole del guadagno in termini di consenso che avrebbe ottenuto non certo tra le istituzioni internazionali, di cui gli interessa poco, ma tra quella parte di popolo – musulmana in senso conservatore – cui fa appello in Turchia come nel resto del mondo, e di cui gli interessa molto: sa infatti che è la sintonia con i sentimenti di una larga base che rende forte una figura istituzionale.

La crassa complicità di Michel e la supina remissività di Von der Leyen non lasciano invece supporre un’analoga sensibilità dei due per i referenti sociali di massa dell’opposta concezione non misogina e non confessionale che può trovarsi in Europa come in Turchia e nel resto del mondo. L’assillo pecuniario alla “cooperazione” dei pochi non produce quindi forza, né intelligenza o dignità, per i molti; perché alcuni sono dittatori, ma non stupidi; altri liberali, ma non necessariamente furbi.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Spagna, via libera alla prima legge della storia sul cambiamento climatico. Solo la destra estrema di Vox vota contro

next
Articolo Successivo

Minneapolis, polizia uccide un altro 20enne afroamericano: nuovi scontri nella notte. Sindaco impone il coprifuoco

next