Lo scandalo del “ceffone” maschilista di Erdogan alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, lasciata miseramente in piedi in occasione della visita ufficiale ad Ankara, va oltre la politica, la cortesia o i modi personali. E sfocia, come un fiume in piena, nella tracotanza dittatoriale, nella provocazione tout court come è costume del presidente turco.

Si prenda la deriva politica del governo turco degli ultimi tre lustri. Mantiene 50mila militari a Cipro, l’isola Stato membro Ue bombardata e invasa dal 1974; infrange leggi e trattati internazionali, come la Convenzione di Montego Bay perché punta sul gas presente copioso nelle acque greche e cipriote; ha siglato un memorandum con la Libia che “toglie” spazio marittimo alla Grecia nel fazzoletto di acque a sud di Creta; ha trasformato Santa Sofia, patrimonio mondiale dell’umanità, in moschea; ha minacciato militarmente la nave italiana Saipem; si è spinto con quotidiana costanza nello sconfinare sui cieli ellenici con gli F-16, “cercando” un incidente; è uscito dalla Convenzione di Istanbul e prosegue con gli arresti degli oppositori, come leader di partito e ammiragli di pensione che chiedevano solo di non mortificare le riforme di Ataturk; ha avviato una caccia ad esponenti del mondo dell’arte e dello sport perché avevano osato criticare le policies erdoganiane.

Sono solo alcune delle strategie messe in piedi da Ankara non solo per distendere i propri muscoli nel Mediterraneo, ma finanche per provare ad esportare un modo di indirizzare la vita della propria comunità che non è ammessa in Occidente e nei regimi democratici, visto che fortunatamente si basano sul rispetto dei diritti e sulla civile convivenza.

Erdogan non è semplicemente un problema politico, né è al centro delle cronache geopolitiche solo per il crollo della lira turca o perché è il nuovo re in Libia o in Siria. La questione è molto più grave, perché il suo è un modello illiberale, che schiaccia oppositori e minoranze, che irrora di germi mortali un paese che invece vorrebbe esprimere tutta la propria volontà moderna, come dalle manifestazioni di Gezi Park in poi. Il metro del ricatto è l’unica parabola politica che si scorge in questo avvio di 2021 e a nulla servono conferenze e meeting se poi, dinanzi ad un fatto gravissimo come quello accaduto ieri ad Ankara, non si avvia una sollevazione mondiale di stampo culturale e sociale.

Il femminismo è certo parte della questione, ma l’affronto della poltrona è pari a quello fatto contro i curdi, contro chi ha combattuto l’Isis, contro chi ha tentato di esprimere un proprio diritto all’autodeterminazione, che sia cittadino turco o stato limitrofo. Il fenomeno, quindi, è ben più grave della semplice schermaglia politica su questo o quel dossier e investe la sfera delle libertà che dovrebbero essere rivendicate in primis da chi se le vede sfilare via.

Il capo della Commissione Ue avrebbe dovuto fare un gesto forte, non scortese, ma fermo e deciso. Parimenti il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel si sarebbe dovuto preoccupare di alzarsi e dare un cenno, in quel lago di ipocrisie e prevaricazioni che è il palazzo presidenziale. Altrimenti tutto il dibattito sul ruolo europeo, sulle interlocuzioni con altre culture e sulla promozione delle libertà, resterà lettera morta.

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