La segretaria del Tesoro statunitense Janet Yellen ha rivolto ieri un appello a tutti i paesi del mondo perché si uniscano agli Usa nell’introduzione di un livello di tassazione minimo comune sui profitti esteri delle multinazionali, indipendentemente da dove abbiano sede. In questo modo, ha spiegato Yellen, si scoraggerebbe quella “corsa al ribasso” che mette in competizione i paesi favorendo il proliferare di regimi fiscali dannosi e incentivando una pianificazione fiscale aggressiva da parte delle grandi aziende. Si ridurrebbe significativamente la possibilità per le multinazionali di eludere il fisco spostando i guadagni in paesi con giurisdizioni fiscali particolarmente favorevoli. La proposta di Yellen mira anche a reperire risorse per finanziare gli imponenti piani dell’amministrazione Biden per sostenere l’economia colpita dalla pandemia e favorirne il rilancio. La Casa Bianca si appresta a varare un nuovo piano da 2mila miliardi di dollari destinato principalmente a finanziare investimenti nelle infrastrutture e sviluppo di energie sostenibili.

Secondo i dati di Tax Justice Network, ogni anno gli Stati Uniti perdono gettito per 49 miliardi di dollari a causa di pratiche elusive delle multinazionali. Denaro che per lo più sparisce alle isole Cayman, in Gran Bretagna o in Giappone. Per l’Italia l’emorragia vale 9 miliardi di dollari l’anno, quanto e più degli Usa se si rapporta questa cifra al valore del Prodotto interno lordo. Negli ultimi decenni la pressione fiscale sulle multinazionali si è progressivamente ridotta. La parte di utili che rimane in azienda è quindi via via aumentata. Il risultato non è stato però quello di favorire investimenti e sviluppo, anzi. La gran parte di questi profitti sono stati usati per piani di riacquisto di azioni proprie (buyback) che hanno l’effetto di spingere al rialzo il valore dei titoli di un’azienda a beneficio dei soci e del management. Oppure sono stati parcheggiati in paradisi fiscali, in attesa di rientrare in patria a condizioni favorevoli. Secondo Yellen la creazione di un’imposta minima globale aiuterà a portare stabilità e favorirà la concorrenza.

Durante il suo mandato Donald Trump aveva ridotto l’aliquota sui profitti domestici della multinazionali (la nostra Ires, ndr) dal 35 al 21%. Ora Joe Biden vuole riportarla al 28%. La minimum tax di cui parla Yellen riguarderebbe invece i profitti realizzati all’estero. “Gli Stati Uniti vogliono aumentare questo tipo di prelievo e hanno tutta la convenienza a far sì che tutti i paesi si allineino intorno alla prospettata aliquota americana del 21%”, spiega a IlFattoquotidiano.it Misha Maslennikov, esperto di questioni fiscali di Oxfam Italia. La partita si gioca all’Ocse dove da tempo si lavora a un progetto di riforma della fiscalità internazionale d’impresa. Due sono le direttrici dei negoziati: la revisione delle regole di allocazione dei profitti di una multinazionale tra diversi Paesi e l’identificazione del nesso tra la “presenza economica” di una multinazionale “fisicamente assente” da un Paese e il diritto del Paese a tassarne i profitti (pilastro 1) e l’introduzione proprio di un livello minimo di imposte sugli utili che una multinazionale è tenuta a corrispondere ai Paesi in cui conduce la propria attività economica (pilastro 2). “I negoziati si erano sostanzialmente arenati dopo che l’amministrazione Trump aveva preteso la possibilità di scegliere se aderire o meno alle regole concordate sotto il pilastro 1 una volta che fosse stato definito”, sottolinea Maslennikov che aggiunge “Yellen ha però tolto dal tavolo questa opzione (safe harbor, ndr) a marzo, mentre l’annuncio di ieri dovrebbe dare un ulteriore impulso alle discussioni sul secondo pilastro con indicazioni chiare dei desiderata statunitensi sull’aliquota della minimum tax”. Non è detto che l’Unione europea sia però così pronta ad accogliere le indicazioni che giungono da Washington, visto che ad esempio in Irlanda il prelievo non va oltre il 12,5%.

Illustrando la sua proposta, la segretaria la Tesoro Usa, in passato governatrice della Federal Reserve e prima ancora consigliere economico nell’amministrazione Clinton, ha espresso una sorta di mea culpa. “Per spingere la crescita economica abbiamo dimenticato l’ambiente. Mentre sviluppavamo e adottavamo nuove tecnologie non abbiamo fatto abbastanza per preparare i lavoratori e il nostro sistema educativo ai cambiamenti in corso. Mentre abbiamo puntato sulla liberalizzazione dei commerci come motore per la crescita, abbiamo abbandonato al proprio destino chi non beneficiava di questa dinamica”. Janet Yellen ha ricordato anche come, secondo diverse stime, la pandemia causerà o scivolamento in condizioni di grave povertà di 150 milioni di persone nel mondo. Una ragione in più per ripensare ed implementare strumenti che forniscano più risorse ai governi per politiche redistributive. A favore di interventi fiscali che aumentino il gettito e aiutino gli stati a contrastare i danni della pandemia si è espresso recentemente anche il Fondo monetario internazionale.

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