La didattica a distanza sta compromettendo l’apprendimento e la socialità di bambini e ragazzi italiani. Lo dico da insegnante, ma è un fatto evidente a tutti. Succede dal punto di vista dell’apprendimento, perché il personale docente non è del tutto preparato alla somministrazione della didattica digitale integrata (un’avvertenza: in questo scritto non troverete quei fastidiosi acronimi che stanno mettendo alla prova la tenuta psichica dei docenti italiani da un po’ di tempo), perché poco o nulla ha fatto il Ministero in questi anni. Succede dal punto di vista sociale, e qui non c’è bisogno di essere un fine pedagogista per rendersi conto di quanto la scuola sia, oltre che luogo di apprendimento, il principale motore di salubre socialità, dall’infanzia all’università.

In questo senso, fa bene come un balsamo la canzone di recente uscita “Torneremo a scuola”, di Giuseppe Anastasi, che tratta in maniera dolce, raffinata e intelligente un tema tanto delicato, in particolare per ciò che riguarda la situazione dei bambini. Un brano che dona un piccolo conforto e una speranza, scritto con poetico realismo. Credo che già il verso “ricorda di essere gentile” basterebbe a questa canzone per stagliarsi al di sopra di ciò che gira oggi nelle radio italiane.

Anastasi ha dimostrato negli anni di sapersi destreggiare in diversi contesti che riguardano la canzone, tanto da riuscire a vincere le due principali manifestazioni italiane: il Festival di Sanremo nel 2014 con il brano “Controvento”, cantato da Arisa, e la Targa nell’ambito del Premio Tenco per il disco “Canzoni ravvicinate del vecchio tipo” nel 2018.

“Torneremo a scuola” riesce ad arrivare con leggerezza, perché è chiaramente destinata ai bambini e i bambini di certo non hanno nessuna intenzione di regalare la propria attenzione a buon mercato. Per dirne una: mia figlia la sera me la fa ascoltare almeno quindici volte; credo sia un banco di prova infallibile. C’è un passaggio che sembra banale ma non lo è affatto, anzi testimonia la capacità di scrittura del suo autore. Sto parlando di quello che lancia il ritornello, con il testo che recita: “Io più te fa millenovecentotrentasettemilamila!”. L’intuizione di chi ascolta arriva prima della parte conscia, così la sillabazione sembra quella di un numero finito, che grazie al rallentamento e all’incastro con la cellula ritmico-melodica (in ascesa diatonica) indugia però sulle migliaia, sulle centinaia, sulle unità, fino a far sì che queste vengano fruite singolarmente: allora il numero reale si sfalda, diventando infinito, sospeso sull’accordo dominante, ch’è sospeso per natura quando chiama l’accordo tonico con cui in effetti parte il ritornello, non prima che quella stessa tensione esploda su “mila!”.

Per questo, il messaggio che arriva è “io più te fa… infinito!”, non c’è numero che contenga quella felicità. Niente può sostituire la bellezza di quando stiamo insieme… in presenza! Una gran canzone, non c’è che dire.

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