La puntata della trasmissione PresaDiretta andata il 15 settembre su Rai3 e dedicata alla maxi-inchiesta “Rinascita-Scott” sta provocando numerose polemiche in Calabria. Attraverso le intercettazioni e gli atti giudiziari, il giornalista Riccardo Iacona ha raccontato l’operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro. E lo ha fatto intervistando tutti, compresi gli avvocati. Questo non ha evitato le critiche delle stesse Camere penali che hanno attaccato il procuratore Nicola Gratteri accusandolo di “giustizialismo propagandistico e inquisitorio, degno di una tv di regime”. Gli attacchi sono arrivati anche dall’interno della magistratura. Lo ha fatto, sulla rivista di Magistratura democratica, il giudice Emilio Sirianni che ha invitato “chiunque indaghi sulla criminalità mafiosa a non arruolarsi alla guerra che il procuratore Gratteri ha evocato in tv”. In risposta all’articolo di Sirianni e ai suoi riferimenti alle “lezioni di garantismo di Ferrajoli” il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Paolo Sirleo ha scritto una lettera aperta – in cui si firma “pubblico ministero del Sud” – che è stata affidata alla mailing-list dell’Anm, l’Associazione nazionale magistrati, e che ilfattoquotidiano.it ospita in questo spazio.

di Paolo Sirleo*

La trasmissione televisiva PresaDiretta di lunedì scorso ha esaminato, ad ampio spettro, un fenomeno radicato in un determinato contesto temporale; e ciò prendendo l’abbrivo dalla inchiesta Rinascita-Scott. Vedendo il programma, però, mi ha colpito ben altro. E ben altri sono stati gli spunti di riflessione.

Mi sono chiesto, ad esempio, come sia stato possibile che nel territorio vibonese un latitante fosse stato eletto sindaco. Mi sono chiesto, ad esempio, come mai un elicottero sia atterrato impunemente su una pubblica piazza con il beneplacito delle istituzioni locali. Mi sono chiesto, ad esempio, come un importante ex parlamentare della Repubblica abbia candidamente ammesso che, per acquisire un resort di lusso, si dovesse ricorrere necessariamente al boss di zona, asserendo di volersi fare egli stesso parte diligente per intercedere con lui (sono parole sue, fino a prova contraria, non quelle di un investigatore o di un pentito).

Mi ha impressionato, ad esempio, la tragica virulenza manifestata per rivendicare sine titulo un fazzoletto di terra. Mi sono chiesto come fosse possibile, in definitiva, che il far west o una provincia dello stato di Sinaloa si trovasse a pochi km da Catanzaro, dove lavoro. E a queste banali riflessioni si è accompagnata una ulteriore domanda: quali fossero le responsabilità e le inerzie dello Stato, perché la provincia di Vibo Valentia assurgesse agli onori della cronaca quale terra di nessuno.

Mi hanno fatto molto riflettere (come del resto al momento della esecuzione della misura cautelare), gli applausi della gente comune ai carabinieri, segno tangibile di un sentimento di liberazione, che mai si era manifestato in queste ‘disgraziate terre’, in cui lavoriamo. E da qui una prima risposta alla domanda di cui sopra.

Mi sono chiesto, poi, come mai di tutto questo non se ne parlasse abbastanza sui giornali. Per cui, ho trovato giusto e doveroso, una volta tanto, che un programma d’inchiesta del Servizio Pubblico abbia trattato, nella poca attenzione del media nazionali, questi temi. Perché ritengo che solo raccontando i fatti si possano suscitare questi banali interrogativi. E questo, a mio avviso, è lo spunto principale di riflessione che la trasmissione ha sollecitato in me. Non altro.

Ma è una mia opinione. In quanto tale, per l’appunto, opinabile.

Tanto osservato, francamente non rammento rappresentazioni giornalistiche d’inchiesta serie, che facciano ricostruzioni di fenomeni criminosi, in via meramente astratta, senza soffermarsi sui fatti. Non ricordo, tanto per fare un esempio, programmi dove si sia affrontato il tema della corruzione, senza citare del casi specifici. Non li rammento perché forse non ce se ne sono stati. Non ve ne sono stati perché gli autori non avrebbero fatto del buon giornalismo, ma programmi assolutamente vacui. E per fare giornalismo d’inchiesta giudiziaria si deve necessariamente far riferimento inevitabilmente ai processi, se celebrati, ovvero alle indagini. E normalmente sì, sentono gli investigatori e le altre persone in grado di fornire indicazioni pertinenti con il tema di cronaca ricostruito.

Nel caso in esame, se non ho visto un’altra trasmissione, sono stati sentiti gli investigatori, che si sono limitati a fornire alcune indicazioni su specifici temi di accusa, senza esprimere giudizi o trarre conclusioni. Non mi pare di avere visto o sentito ‘l’inquirente’, dall’alto del suo scranno, sognarsi di trarre giudizi o conclusioni su questa o quella posizione processuale. A parte il fatto che ha parlato di altro.

Se non ho visto un’altra trasmissione, sono stati sentiti anche difensori e imputati, che hanno espresso le loro considerazioni. Per cui l’utente si è fatto una sua idea. Come è giusto che sia. Idea che è altra cosa rispetto al giudizio, che si formulerà nell’unica sede prevista, qual è il processo.

È giusto e doveroso che il cittadino sia messo nelle condizioni di capire come viene amministrato un Comune, partendo dal resoconto dei nudi fatti emersi nel corso di una indagine o di un processo in corso di celebrazione. È giusto e doveroso, a prescindere dagli esiti del processo, che magari sancirà che quei fatti, pur risultando oggettivamente espressivi di una cattiva gestione della cosa pubblica, non sono reato.

Il cittadino, se sono fatti di rilievo, ha il diritto-dovere di essere informato. Affermare il contrario mi sembra singolare. Come pure evocare le lezioni di garantismo di Ferrajoli. Questo perché si mettono sullo stesso piano, a sproposito, due ambiti nettamente diversi: il processo, unica sede nella quale, ricostruiti i fatti, formulare le valutazioni giuridiche; e il diritto di cronaca, attraverso il quale raccontare i fatti con oggettività, senza preconcetti e pregiudizi, al solo fine di informare.

Per cui mi pare stupefacente che il succo della riflessione non sia l’oggetto della inchiesta giornalistica, ma l’operato degli investigatori e ‘dell’inquirente’, rei di avere fornito, in uno con difensori e imputati, delle mere indicazioni a un giornalista per assicurare una corretta informazione. Informazione che riguardava fatti di rilievo che, come tutti i fatti di rilievo, vengono sempre raccontati a caldo e nella immediatezza. Senza aspettare la sentenza definitiva.

E aggiungo, incidentalmente, che la interlocuzione tra la stampa e l’ufficio del pubblico ministero è un dato espressamente disciplinato dalla legge (art 5 d. lgs 106/2006), segno questo che a livello normativo si è ritenuto doveroso, nel rispetto del diritto/dovere di cronaca, regolamentare questi profili. Profili che inevitabilmente afferiscono l’attività dell’ufficio, e quindi anche e soprattutto le indagini (non essendo pensabile che un procuratore della Repubblica, nell’esercizio delle sue funzioni, parli con la stampa di sport, di cucina o di cronaca rosa).

Ma la cosa che, a proposito degli insegnamenti di Ferrajoli e degli altri maestri, mi stimola una ulteriore riflessione è la seguente: non ho letto pensieri di giudici del Centro Italia stigmatizzare il profluvio di trasmissioni televisive sul processo ‘Mondo di mezzo-Mafia Capitale’, basate su ricostruzioni meramente investigative. Faccio enorme fatica a rammentare pensieri di giudici del Nord sulla indagine ‘Mani Pulite’, nella quale si è assistito per anni a resoconti giornalistici quotidiani che avevano, a momenti, lo stesso spazio della famigerata pandemia. E non dimentichiamoci che, a latere di quella doverosa e per certi versi storica attività di indagine, ci sono stati dei suicidi, rispetto ai quali nessuno, tra i magistrati in servizio, si è, giustamente, sognato di dire una sillaba.

E qui mi fermo con gli esempi. In tutti questi casi, come in moltissimi altri, non ho assistito a inviti rivolti ai magistrati e agli investigatori ‘a fare il proprio mestiere’. Non si sono scomodati gli insegnamenti di Ferrajoli e degli altri maestri, forse perché le indicazioni fornite dagli inquirenti, ovviamente rese nell’alveo della ortodossia processuale, erano meramente destinate ad assicurare il diritto di cronaca. E vieppiù non ho visto evocare (sarò distratto o dotato di memoria corta) i diritti fondamentali dell’imputato in alcuna mailing list o rivista di corrente, nemmeno quando si è abilmente praticata ‘l’arte dell’indiscrezione veicolata e del consenso’.

Chissà, forse perché a chi vive altrove, rispetto a chi ha scelto di stare in queste ‘terre disgraziate’, non interessa, prima d’ogni cosa, la ricerca della verità.

*sostituto procuratore della Dda di Catanzaro

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