Si chiamava Giulio Macciò, aveva 79 anni e gestiva una nota rete di agenzie di pratiche auto a Genova. È morto l’11 marzo, da positivo al Covid, nel reparto di Pneumologia Covid-free del Policlinico San Martino, mentre si avviava alle dimissioni. Il suo decesso ha portato alla scoperta – proprio in quella clinica – del cluster che ormai coinvolge 17 pazienti e 2 membri del personale, causato, con ogni probabilità, da un’infermiera che aveva rifiutato il vaccino nelle settimane precedenti, poi risultata positiva. Per questo, in seguito a un esposto dei due figli, la procura del capoluogo ligure ha aperto un’indagine per omicidio colposo finalizzata a capire se e come la morte dell’imprenditore potesse essere evitata. Il procuratore aggiunto Francesco Pinto e il sostituto Stefano Puppo hanno acquisito la cartella clinica del paziente e attendono l’esito dell’autopsia svolta a Bologna, in uno dei due centri del Nord Italia (l’altro è al Sacco di Milano) abilitati a ispezionare salme contagiate dal Sars-CoV-2. Non ci sono indagati, anche se da ambienti giudiziari filtra la possibilità che alcuni dirigenti ospedalieri siano iscritti già nei prossimi giorni.

Macciò era entrato al San Martino il 21 febbraio, ricoverato per un’infiammazione al polmone sinistro. Dopo quattro notti in pronto soccorso era stato trasferito in Pneumologia, al primo piano lato est del padiglione Maragliano: un reparto “pulito”, in cui si entra solo con tampone molecolare negativo. Venti giorni dopo sembrava essersi ripreso, tanto che si iniziava a parlare di dimissioni: “Doveva uscire uno o due giorni dopo al massimo. Era già stata fatta la richiesta alla Asl per la bombola d’ossigeno che avrebbe dovuto usare in casa”, racconta il figlio Massimiliano al fattoquotidiano.it. Ma all’alba di quel giovedì 11 marzo, è arrivata la doccia fredda. “Mi ha chiamato il medico curante, ha detto che lo avevano trovato morto facendo il giro dei letti, non se lo sapevano spiegare. Due giorni dopo abbiamo scoperto che si era contagiato e abbiamo saputo del focolaio nel reparto”. Spiegabile solo con la presenza dell’infermiera risultata positiva: “Mio padre è entrato lì da negativo, lo sentivo tutti i giorni e so che non usciva mai dalla sua stanza, nemmeno per andare in bagno. Presumo fosse così anche per gli altri. Non era a contatto con nessuno, se non con il personale”, dice Massimiliano.

Il caso ha riacceso il dibattito sulla possibilità di prevedere l’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie. Anche perché al San Martino – il maggiore ospedale della Liguria – gli infermieri non immunizzati sono circa 400, quasi il 17% del totale. “Non possiamo permetterci di tenere lontane dai reparti tutte queste professionalità”, sospira il direttore generale Salvatore Giuffrida. “E d’altra parte, per le norme sulla privacy, non abbiamo nemmeno accesso ai nomi di chi sceglie di non vaccinarsi, a meno che non siano loro stessi a renderlo noto. Se anche lo sapessimo, per assurdo, la cosa meno rischiosa da fare sarebbe destinarli ai reparti Covid. Ma così saremmo noi a violare la legge, esponendo proprio loro, più fragili, a un rischio maggiore”. Riguardo alla vicenda di Giulio Macciò, poi, il dg tiene a ricordare che “fare il tampone sulla salma è stato uno scrupolo del medico che ha constatato il decesso. Il paziente non presentava sintomi che facessero pensare a una morte per Covid. Appena saputo della situazione abbiamo adottato ogni protocollo previsto”.

Contro gli infermieri non vaccinati si era scagliato anche il presidente della Liguria, Giovanni Toti, annunciando di voler varare una legge regionale – sul modello di quella pugliese – per impedire loro l’accesso ai reparti più a rischio, tra cui le pneumologie. “Ma ogni reparto è critico a modo suo – fa notare Giuffrida al fatto.it – ed è difficile fare una selezione. A mio parere il dovere di vaccinarsi può desumersi dal Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, dove recita che ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella dei colleghi. Ma d’altra parte il vaccino è un trattamento sanitario, e si può imporre solo per legge. È un gatto che si morde la cosa”. Ora si attende l’esito degli accertamenti sulla salma di Macciò, che stabiliranno se è stato di fatto il Covid a ucciderlo. “Quello che conta, per noi, è che il paziente è entrato negativo in un reparto Covid-free e ne è uscito positivo e senza vita”, dice l’avvocato della famiglia, Claudio Zadra. “Nell’esposto abbiamo ripercorso i fatti precedenti al decesso e ci aspettiamo, a prescindere dal risultato dell’autopsia, che la magistratura faccia piena chiarezza”.

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