Un partito “indebolito e diviso in correnti” che va rilanciato, l’alleanza con il Movimento 5 stelle a guida Conte, l’iniziativa parlamentare contro i cambi di casacca. Nella sua prima uscita pubblica da segretario, a Che tempo che fa su Rai3, Enrico Letta rilancia i temi che ha già affrontato nel suo discorso all’Assemblea del Pd e che contraddistingueranno la sua azione politica. Ma aggiunge anche nuovi tasselli che aiutano a capire come immagina il futuro del Nazareno. Per “tornare a vincere” alle elezioni e guidare un “nuovo centrosinistra” magari in coalizione con i pentastellati, l’ex premier crede infatti che sia necessario modificare la legge elettorale. Ma non in senso proporzionale come volevano Nicola Zingaretti e la precedente maggioranza. “Avevamo una legge elettorale che si chiamava Mattarellum: ha funzionato bene e permetteva ai cittadini di scegliere. Poi è stata cambiata prima con il Porcellum e poi con il Rosatellum: due errori clamorosi“, spiega in tv. A suo parere, quindi, bisogna “ripartire dal Mattarellum”, cioè da un modello in gran parte maggioritario e che favorisce le coalizioni. Letta guarda a un campo largo e, almeno in questa fase, non pone paletti al dialogo. Per quanto riguarda l’asse con i 5 stelle, costruito nel corso dell’esperienza del governo Conte, sostiene che dipende tutto “da cosa faremo nei prossimi due anni. Vedremo cosa sarà il Movimento guidato da Conte, se il confronto andrà bene faremo un pezzo di strada insieme“.

Per arrivare all’appuntamento del 2023, però, occorre un “nuovo Pd”, come ha detto in Assemblea. “Tornando ho trovato un partito più piccolo, più in difficoltà, sconfitto alle elezioni e molto diviso in correnti, indebolito dalle scissioni“, ha aggiunto nel corso dell’intervista a Fabio Fazio. “Da una parte Bersani, dall’altra Renzi e anche Calenda. Ho avuto l’impressione che si pensi che queste elezioni saranno perse: io sono convinto le possiamo vincere“. I temi che pone sul tavolo per rilanciare il Pd, oltre al capitolo alleanze, sono quelli dello ius soli, della parità di genere, del voto ai 16enni. Ma anche una proposta per superare il trasformismo parlamentare: “In questa legislatura ci sono stati quasi 200 cambi di casacca: io prenderò un’iniziativa in questa settimana. Parlerò con i presidenti di Camera e Senato con i partiti perché è interesse di tutti limitare” il trasformismo. Perché un conto è non avere vincoli di mandato” dice, e “un altro è avere questa situazione”.

Per quanto riguarda la sua decisione di lasciare gli incarichi a Parigi e tornare in Italia, Letta rivendica di averlo fatto soprattutto per i giovani: “Mi sono posto il problema di cambiare la politica italiana a fare in modo che il nostro possa tornare ad essere un paese per giovani“. Come racconta un retroscena di Repubblica, a convincerlo è stata anche una telefonata con Mario Draghi, a cui seguirà nelle prossime settimane un faccia a faccia direttamente a Palazzo Chigi. Ora che l’ex premier non ricopre più ruoli retribuiti, però, si comincia a fare il suo nome per il seggio della Camera rimasto libero a Siena, dove si svolgeranno le suppletive. “Non abbiamo ancora parlato di queste cose qui”, dice Letta, senza escludere l’ipotesi. “Ma io oggi ho annunciato che siccome vengo eletto segretario del Pd rinuncio a tutti gli incarichi retribuiti che ho perché credo nella moralità in politica. Ma anche per questo io in questi giorni devo rivedere tutto…”.

Intanto nel partito gli apprezzamenti dei big al nuovo segretario sono praticamente unanimi, al netto delle fratture interne che hanno portato alle dimissioni di Zingaretti e che a lungo termine rischiano di logorare anche lo stesso Letta. Un avvertimento (dall’esterno) lo manda Arturo Parisi, tra i fondatori dell’Ulivo e oggi fuori dai giochi di potere. “Diciamo che sono troppe le cose che non tornano. È evidente che dietro l’eccessivo consenso palese ci sono troppi dissensi nascosti”, dice al Messaggero, parlando di “unanimismo” di facciata. A suo parere, il partito vive con la sindrome del “rifiuto della fatica del confronto tra posizioni diverse alla luce del sole, per poi cedere alla divisione nel buio del voto segreto”. Sul punto interviene, in un’intervista a La Stampa, il ministro Andrea Orlando, secondo cui “le correnti saranno superate quando ci sarà un partito in grado di esercitare pienamente le sue funzioni“. Perché? “Un forte indebolimento del partito nel corso del tempo ha prodotto la crescita di altri luoghi, talvolta impropri, in cui si svolge la selezione e la discussione dei gruppi dirigenti. Noi organizzammo Dems in modo strutturato all’indomani della catastrofe del 2018, dopo la strage delle liste fatta da Renzi”, chiarisce Orlando, che è alla guida di quella corrente. “Fu un atto di resistenza, per evitare di vedere cancellata una storia politica”. Dopo che il Pd è diventato “un partito di eletti, in cui la vita politica gravita prevalentemente dentro le istituzioni”, le correnti hanno “esondato“. E ora possono essere ridimensionate “solo rafforzando la forma partito sul territorio e nei luoghi di lavoro”.

A non voler sentir parlare di correnti è Stefano Bonaccini: “Io ho ripetuto allo sfinimento che dobbiamo tornare alla realtà, chi discute di posti, correnti, congressi e conte interne in mezzo ad una pandemia è un marziano”. Il governatore dell’Emilia Romagna, più volte dato come papabile candidato alle prossime primarie dem, apprezza quindi la linea di Letta sulla necessità di “cominciare una nuova storia”. E aprire un confronto “vero, sui contenuti, che porti a un nuovo centrosinistra“. Sul tema delle alleanze, Bonaccini non ha dubbi: “I 5 stelle ne hanno fatta di strada, dal populismo alla democrazia, dal no-euro all’europeismo. In Giuseppe Conte vedo un ottimo interlocutore. La concorrenza a cui guardo è quella alla destra”. Per questo, conclude, “serve un campo largo, progressista e riformista, che dia spazio e valore anche alle forze civiche della nostra società, che vada da Elly Schlein a Calenda“.

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