Le autorità sanitarie hanno già dichiarato l’inizio della terza ondata, ma domenica in Baden-Württemberg e nella Renania-Palatinato le urne saranno comunque aperte per eleggere i nuovi parlamenti dei due Länder. La Germania inaugura così il suo anno elettorale, che porterà fino alle elezioni nazionali del 26 settembre, le prime quasi due decenni senza Angela Merkel. Dopo tre mesi di lockdown ininterrotto, i casi di coronavirus però stanno tornando a salire e sono esplosi i contagi tra i più giovani, probabilmente a causa della variante inglese. Le elezioni però non sono state rinviate: si punto sul voto per corrispondenza e sull’obbligo di mascherina Ffp2 ai seggi. Un problema soprattutto per la Cdu della cancelliera Merkel: i cristiano-democratici devono far fronte alle critiche per una gestione della pandemia giudicata per buona parte insufficiente, tra chiusure prolungate, ritardi nei ristori e vaccinazioni che tardano ad accelerare. In più, proprio nelle ultime settimane sono esplosi scandali che hanno coinvolto i deputati conservatori: due di loro si sono dimessi dopo le accuse di corruzione nella compravendita di mascherine, altri sono coinvolti nell’inchiesta su presunte attività di lobbying svolte per conto dell’Azerbaigian.

Il voto in Baden-Württemberg e nella Renania-Palatinato diventa quindi un primo test per capire quanto consenso potrebbe aver perso la Cdu, già alle prese con la difficile transizione da Merkel a una nuova leadership. È il primo banco di prova anche per Armin Laschet, appena eletto alla guida del partito: una pesante sconfitta potrebbe già indebolire la sua figura, mentre ancora manca il nome del futuro candidato alla cancelleria. I sondaggi dicono che i cristiano-democratici perderanno. Nel Baden-Württemberg, dove i Verdi già governano dal 2011, è prevista ancora una vittoria del partito ecologista che per la Zdf ha il 34% dei consensi. La Cdu, che 5 anni fa si giocò la vittoria, ora viene stimata 10 punti più in basso, al 24%. A novembre era stimata sopra il 30% e davanti ai Verdi. Situazione simile nella Renania-Palatinato, dove ora i sondaggi vedono una riconferma di Malu Dreyer (Spd), mentre ancora a metà febbraio i cristiano-democratici erano in vantaggio sui socialdemocratici.

D’altronde anche i sondaggi nazionali, dall’istituto Insa a Forsa, raccontano di una perdita di circa il 7% dei consensi nell’ultimo mese. Lo scandalo mascherine è scoppiato nell’ultima settimana di febbraio e potrebbe avere strascichi ancora più pesanti alle urne. Prima è stato indagato per corruzione ed evasione fiscale il vice-capogruppo dell’Unione Cdu/Csu, Georg Nüßlein: è accusato di aver ricevuto 650mila euro di provvigioni (non dichiarati al fisco) per far ottenere a un produttore di mascherine contratti di fornitura con il Land della Baviera e con il governo federale. Poi l’inchiesta si è allargata a un altro parlamentare cristianodemocratico, Nikolas Löbel: ha mediato contratti di acquisto di mascherine attraverso la sua azienda e ha intascato commissioni per circa 250mila euro. Anche in questo caso l’accusa è corruzione.

L’attività di lobbying sulla pandemia ha scatenato ovviamente l’indignazione di stampa e opposizioni, anche perché il partito conservatore non è nuovo a questo tipo di accuse. Il 4 marzo scorso il Bundestag ha revocato l’immunità al deputato Cdu Axel Fischer, per permettere le indagini sulla sua attività da membro dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa tra il 2010 e il 2018. L’accusa? Ancora una volta corruzione: secondo chi indaga, Fischer ha ricevuto soldi dall’Azerbaigian in cambio del voto su mozioni e risoluzioni pro-Baku. Non è finita: giovedì si è dimesso dal parlamento anche un altro conservatore, Mark Hauptmann. In passato il 36enne si è ripetutamente espresso a favore dell’Azerbaigian e ora è stata aperta un’inchiesta sui soldi che ha ricevuto per la pubblicità su un giornale di cui è editore.

Scandali che sono pane per l’opposizione, specialmente in un periodo in cui i tedeschi sono già insofferenti. Sabato migliaia di persone hanno preso parte alle manifestazioni di protesta contro le restrizioni in diverse città tedesche. A Dresda centinaia di sostenitori del movimento Querdenken (Pensiero Laterale), a cui partecipano militanti dell’estrema destra ed attivisti no-vax, sono scesi in piazza, nonostante la loro manifestazione fosse stata vietata da un tribunale. Anche a Stoccarda hanno protestato centinaia di persone sotto lo slogan “Ora basta”. La polizia è poi intervenuta a Monaco di Baviera per sgombrare diverse migliaia di persone che erano assembrate di fronte al parlamento statale. Anche Düsseldorf si sono mobilitate almeno 2mila persone per protestare contro le restrizioni anti pandemia e alla mobilitazione hanno partecipato anche oltre 100 camper in carovana.

Dopo una prima ondata gestita forse meglio di tutti in Europa, infatti, anche il governo tedesco ha commesso diversi errori nella lotta al Covid dall’autunno in poi. La prima dimostrazione è il lockdown soft deciso a novembre, che ha portato alla chiusura di bar e ristoranti ma non ha avuto benefici in termini di calo dei contagi. A inizio dicembre il boom di casi e i mille morti al giorno hanno costretto Merkel a correre ai ripari con un lockdown duro, iniziato il 16 dicembre. Le lezioni in presenza, un punto fermo del governo, sono state vietate. Così come hanno chiuso anche i negozi, ma con la promessa di lauti ristori. Soldi che però sono arrivati tardi: alcuni pasticci burocratici, uniti a un meccanismo complesso e a un sistema informatico che ha mostrato lacune, hanno fatto sì che gli esercenti rimanessero per mesi senza vedere un euro.

Il lockdown duro ha fermato l’ascesa dei contagi, ma non ha mai consentito di riportare la curva sotto controllo: così la Germania è rimasta per tutto questo tempo una enorme zona rossa. Non senza pesanti proteste e violazioni delle restrizioni. A cui si è aggiunta la frustrazione per una campagna vaccinale cominciata a rilento (come nel resto dell’Unione europea), mentre l’aspettativa dei tedeschi erano un’uscita della pandemia nel giro di poche settimane. Anche per questo, solo una settimana fa governo e Länder si erano accordati per un piano di riapertura a piccoli passi. Già dal 22 febbraio avevano cominciato a riaprire le scuole, prima asili ed elementari, insieme ai parrucchieri. Poi è toccato a musei e alcune attività all’aperto. Il 22 marzo sarebbe la volta dei ristoranti (solo con i tavoli all’aperto), dei negozi e anche di teatri, cinema e palestre. Non accadrà, perché per riaprire è stata fissata come soglia un’incidenza massima di 35 casi ogni 100mila abitanti. I contagi stanno risalendo è l’incidenza è arrivata a quota 74.

Il ministro della Salute tedesco Jens Spahn venerdì ha spiegato che il Paese dovrebbe prepararsi per “diverse settimane molto impegnative” mentre i casi di coronavirus continuano ad aumentare. “Dobbiamo mantenere bassa la curva”, “per evitare che ricapiti quello che è successo prima di Natale, con l’esplosione dei contagi”, ha sottolinato il presidente del Robert Koch Institut, Lothar Wieler. “Aumentano anche i casi sotto i 15 anni molto velocemente e ci sono molti focolai negli asili infantili. La variante inglese potrebbe giocare un ruolo”, ha spiegato Wieler. Ecco perché è più probabile che scatti il cosiddetto “freno d’emergenza“: il governo infatti ha stabilito che nel caso in cui l’incidenza tornasse a superare i 100 casi ogni 100mila abitanti, il lockdown totale verrebbe ripristinato senza eccezioni. Per l’opinione pubblica però potrebbe essere letto come l’ennesimo fallimento: intanto domenica circa 10 milioni di tedeschi esprimeranno con il voto un primo giudizio sull’operato della Cdu al governo.

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