La nuova proprietà della AS Roma, quotata in Borsa a Milano, ha rinunciato al progetto di costruzione del nuovo stadio a Tor di Valle: “Il Consiglio di Amministrazione, riunitosi in data odierna (nda: 25 febbraio 2021), sulla base degli approfondimenti condotti da advisor finanziari, notarili e legali di primario standing, nonché alla luce delle ultime comunicazioni di Roma Capitale, ha verificato che non sussistono più i presupposti per confermare l’interesse all’utilizzo dello stadio da realizzarsi nell’ambito dell’attuale progetto immobiliare relativo all’area di Tor Di Valle, essendo quest’ultimo progetto divenuto di impossibile esecuzione”. Al momento, il comunicato non ha provocato grandi oscillazioni del titolo.

L’ultima alluvione romana che ho studiato seriamente è quella del dicembre 1870, quando Pio IX invocò il castigo di Dio a spiegazione della catastrofe: senza ombra di dubbio il nostro aveva reagito all’affronto sabaudo che, con la breccia di Porta Pia, aveva abbattuto il soglio papale. Non era una spiegazione scientifica condivisibile dai liberali più colti, ma l’interpretazione autentica dell’evento da parte del massimo esperto che poteva trattare ex-cathedra la materia divina. Non conosco in dettaglio l’attuale condizione di rischio idraulico del sedime a suo tempo prescelto per edificare il nuovo tempio del calcio. E, perciò, ragiono in modo del tutto astratto.

Tor di Valle è circondata da un profondo meandro del Tevere. Dal punto di vista geomorfologico, un luogo destinato nei secoli a originare una lanca, in assenza di interventi umani. La lanca (oxbow in inglese) è una tipica forma fluviale che osserviamo in molti i corsi d’acqua di pianura (vedi figura). Si produce in modo del tutto naturale, a meno di consistenti opere idrauliche che ancorino il letto fluviale entro limiti rigidi. E sempre che, nel corso del tempo, non si verifichino eventi tali da superare la resistenza di quelle opere.

Con la costruzione di opere idrauliche ancillari al progetto insediativo, la pericolosità idraulica del sito di Tor di Valle sarebbe stata senza dubbio garantita entro i limiti normativi. La dolorosa rinuncia conforta comunque il dio Tiberino, fratello del dio delle sorgenti, Fonto, e figlio di Giano e di Camese, signora delle acque. Per questa volta, Tiberino non sarà tirato in ballo. E la AS Roma non dovrà rinunciare al nuovo stadio: la città eterna si estende per 1.287 chilometri quadrati, una superficie sette volte più grande di Milano.

Anche se la pericolosità idraulica viene contenuta entro un severo limite normativo, per esempio il 5 per mille (un evento critico mediamente ogni 200 anni), collocare lo stadio sulle rive di un fiume merita grande attenzione. L’esperienza diretta di un evento calcistico mi rende particolarmente cauto, forse troppo, in proposito. L’alluvione genovese dell’ultima domenica di settembre del 1992, quando la Sampdoria di Eriksson ospitò il Milan di Fabio Capello, fece abortire la partita.

Come narrai in Bisagno, il fiume nascosto (Marsilio, 2014) il breve viaggio per raggiungere la zona dello stadio fu una odissea: “Non si vedeva nulla e l’autostrada era coperta da una spessa lama d’acqua. Entrammo comunque a Genova senza problemi. Raggiungere lo stadio fu invece impossibile, per la pioggia e per il caos. Allora ci attestammo in corso Monte Grappa, sopra il Borgo degli Incrociati, da dove si poteva intravedere dall’alto il Ponte di Sant’Agata, che tentava di resistere alla furia della piena (ma, nonostante l’ultra-millenaria eredità, non ce la fece, nda) e l’imbocco della copertura che ribolliva per l’innesco del rigurgito. Quindi salimmo più in alto, da dove si poteva traguardare il torrente da Staglieno fino allo stadio. Colpiva il colore, l’intenso marrone di quel serpente rugoso d’acqua e fango che ribolliva, tra creste e valli a lambire gli argini, quasi a voler carpire le auto posteggiate sul ciglio”.

Scrisse Alberto Costa sulle pagine sportive del Corriere della Sera “che Sampdoria-Milan corresse il rischio di saltare lo si era intuito attorno alle ore 14. Il nuovo stadio di Marassi aveva già accusato problemi in un paio di circostanze, ma stavolta la furia degli elementi si presentava di una tale eccezionalità da scagionare a priori il contestato sistema di drenaggio. Un primo contatto telefonico con gli spogliatoi faceva scattare l’allarme: infiltrazioni d’acqua erano segnalate un po’ dappertutto. Gruppi di volonterosi, muniti di scope, erano intenti ad alleggerire la pressione della pioggia. Impresa apparsa subito patetica: gonfiata dal sistema fognario ormai impazzito, l’acqua si stava infatti impadronendo della fitta rete di stanze e corridoi, posti a otto metri di profondità”.

Il racconto giornalistico, però, trova infine conforto: “Le squadre del Milan e della Sampdoria, bloccate nei rispettivi pullman, si rendevano conto della impossibilità di contattare l’arbitro Baldas, appollaiato su un tavolo del suo spogliatoio. Dovevano intervenire i vigili del fuoco per ordinare lo sgombero degli spogliatoi, ormai inagibili. Con l’acqua giunta a un metro e venti di altezza, con le caldaie fuori uso e il generatore elettrico impazzito, il Baldas, in tuta, decideva comunque di prendere l’iniziativa. Raggiunta la tribuna stampa, grazie all’aiuto di alcuni giornalisti si metteva infatti in contatto telefonico con Silvio Berlusconi, ad Arcore”.

Non sempre c’è un nume tutelare che, invocato, risponda prontamente, come accadde quella volta. Allora, la gente scappò velocemente sulle alture e non si piansero vittime. I danni alla città, però, furono enormi. Il disastro insegnò che l’esposizione al rischio è un fattore da considerare con grande cura, prima di installare qualsivoglia insediamento che potrebbe attrarre un elevato numero di persone.

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