Chi va, chi viene, chi torna. Se n’è andato Raffaele Cutolo, boss della camorra noto per l’inossidabile carisma, la capacità di comandare dal carcere e l’inquietante processione di personaggi che, in tanti anni di detenzione, andavano a fargli visita. Naturalmente abbiamo letto e ascoltato il mantra che sempre, in questi casi, ci viene fatto rimbombare nelle orecchie: “si è portato nella tomba tutti i suoi segreti”. Non tutti, a dire il vero.

Oggi, sui rapporti tra criminali e “servitori dello Stato”, sappiamo molto più di quanto speravano (sperano?) i professionisti del depistaggio e dell’occultamento. Archiviazioni e assoluzioni non cancellano fatti ed episodi accertati, ovvero “provati”, durante i processi. Parafrasando l’ultimo degli europeisti, di misterioso c’è solo la fede.

La morte di Cutolo ci ha fatto ricordare le indecenti trattative per la liberazione dell’assessore democristiano Ciro Cirillo, con tanti saluti a quella “strategia della fermezza” che, solo tre anni prima, aveva lasciato morire Aldo Moro in nome di una malintesa ragion di Stato. Per una curiosa coincidenza, mentre il capo della Nuova Camorra Organizzata esce di scena, stanno riemergendo dall’oblio alcuni dei servizievoli frequentatori di Don Raffaè.

Il prossimo 16 aprile si aprirà a Bologna il nuovo processo su mandanti e complici della strage alla stazione del 2 agosto 1980. Un processo “storico”, si dice, che consentirà all’opinione pubblica – non solo italiana – di conoscere meglio le peripezie di alcuni personaggi, più o meno inquietanti, che hanno contribuito all’inquinamento criminale della democrazia, prima e dopo la caduta del muro di Berlino. Poco più di un anno fa il terrorista nero Gilberto Cavallini è stato condannato in primo grado, sempre a Bologna, per concorso in strage. Il giudice Michele Leoni, nelle motivazioni, riepiloga e contestualizza alcune delle visite ricevute in carcere da Cutolo all’inizio degli anni ’80.

E qui vale davvero la pena far parlare le carte: Come dichiarato dallo stesso Belmonte (Giuseppe, ufficiale del Sismi agli ordini del generale piduista Santovito, depistò le indagini insieme a Gelli, Musumeci e Pazienza) alla Corte d’Assise di Bologna, in occasione dell’affare Cirillo egli si recò in visita al carcere di Ascoli Piceno per ben tre volte in visita al boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo, nel maggio del 1981, insieme al ‘collaboratore esterno’ del Sismi, Adalberto Titta, capo della struttura supersegreta e non censita da nessuna parte ‘L’Anello‘ o ‘Noto Servizio’.

(…) il 28 aprile 1981, il Sisde chiese alla Direzione degli Istituti di pena (il Dap, allora guidato da Ugo Sisti dopo che, un anno prima, le Brigate Rosse avevano ucciso il direttore Girolamo Minervini) e ottenne autorizzazione a prendere contatto con Raffaele Cutolo (…). Di questa iniziativa esiste traccia al Sisde, con l’annotazione che di essa erano stati preventivamente informati la magistratura inquirente e i vertici ministeriali. Ricevute le necessarie autorizzazioni, il Sisde entrò ad Ascoli Piceno [a partire dal] 29 aprile (…)

Il 9 maggio – terzo anniversario dell’omicidio Moro (sic!) – ebbe luogo un incontro nell’ufficio del dottor Sisti, in seguito al quale il Sisde, rappresentato dall’allora vice direttore Parisi, lasciò il campo al Sismi, rappresentato dal generale Musumeci (noto piduista, fra gli artefici dell’operazione di depistaggio ‘Terrore sui treni’). Subito dopo vi è una prima visita ad Ascoli il 10 maggio.

Ma le pessime frequentazioni del giudice Sisti erano iniziate ben prima. Risultava inoltre che il Bellini [Paolo], durante la latitanza, aveva avuto contatti con il dott. Sisti, Procuratore deila Repubblica di Bologna dal gennaio 1978 al settembre 1980 (ossia fino a poco dopo la strage alla stazione), indi divenuto Direttore degli Istituti di Prevenzione e Pena. Ugo Sisti aveva altresì intrattenuto rapporti con Aldo Bellini, padre di Paolo Bellini. Tra Sisti e Aldo Bellini si instaurarono quindi rapporti di amicizia, divenuti notori a Reggio Emilia. (…)

La notte fra il 3 e il 4 agosto 1980 (ossia le seconda notte dopo la strage alla stazione), Sisti si recò da Aldo Bellini, essendo “stanchissimo” per l’attività svolta dopo la strage. (…) Sisti fece perdere le sue tracce alla scorta, non comunicò a nessuno dove sarebbe andato (comportamento abnorme…) per andare, consapevolmente, ad alloggiare da un esponente dell’ultradestra fascista, il quale, condividendo la sua necessità di eclissarsi, non lo registrò nel proprio albergo. Questo si chiama complicità.

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