di Luigi Manfra*

L’Institute of International Finance ha stimato che alla fine di quest’anno il debito mondiale sarà cresciuto di 15.000 miliardi di dollari arrivando così a un totale di 277.000 miliardi, ovvero il 365% del Pil globale. Nel 2019, il rapporto con il Pil era del 320%.

Per quel che riguarda l’Italia, il Documento Programmatico di Bilancio indica che il rapporto tra debito pubblico e Pil è aumentato dal 134,7% nel 2019 al 158% nel 2020 e scenderà al 155,6% nel 2021. Il deficit nel 2020 si aggira intorno al 10,5% del Pil mentre per il 2021 sarà circa il 7,8%. Queste cifre testimoniano come l’indebitamento sia diventato un problema che non è possibile affrontare con le consuete politiche di austerità.

Non soltanto sarà difficile onorare il debito pubblico, ma non si riuscirà a pagare nemmeno gli interessi. Necessariamente i tassi dovranno restare vicini allo zero per consentire ai paesi di sostituire con nuovo debito il debito in scadenza. Ma gli investitori non sembrano preoccupati dall’aumento della spesa pubblica e del debito ad essa correlato perché i costi sono estremamente bassi. I tassi di interesse, infatti, sono scesi ai minimi storici, spinti al ribasso dall’enorme programma di acquisto di obbligazioni da parte della Bce. La sostenibilità del debito pubblico non dipende tanto dal suo ammontare quanto dal suo costo.

È evidente che le probabilità che questo debito venga rimborsato sono praticamente nulle e questo, ovviamente, vale anche per il caso italiano, il cui debito ad oggi ammonta a 2.580 miliardi di euro. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale (Fmi), entro la fine del 2020 il rapporto fra debito pubblico e Pil supererà il 130% negli Stati Uniti, il 160% in Italia e il 260% in Giappone.

La monetizzazione del debito appare pertanto l’unico strumento in grado di affrontare efficacemente il problema.

I deficit fiscali sono monetizzati quando il governo emette obbligazioni sul mercato primario e la banca centrale contestualmente acquista una quantità equivalente di titoli di stato sul mercato secondario. Perché ci sia la monetizzazione è necessario, inoltre, che la banca centrale si impegni a mantenere presso di sé, indefinitamente, i titoli acquistati, rinnovarli quando giungono a scadenza e restituire al governo gli interessi maturati su detti titoli. In tal modo l’indebitamento totale dello Stato non aumenta, alleviando permanentemente il vincolo di bilancio e rendendo possibile finanziare un livello equivalente di disavanzo attraverso nuove emissioni di debito.

Il mancato rispetto di tali impegni invalida la monetizzazione e ne annulla gli effetti. Il debito monetizzato resta come attività fittizia nel bilancio della banca centrale e come passività fittizia nel bilancio dello stato, non avendo quest’ultimo l’obbligo di rimborsarlo in futuro.

Fautori della monetizzazione del debito sono gli economisti che fanno riferimento alla modern monetary theory (Mmt), fra cui Stephanie Kelton. Docente di Economia alla Stony Brook University, ha pubblicato un libro tradotto in italiano dal titolo Il mito del deficit nel quale afferma che, per gli Stati che emettono moneta, gli unici vincoli alla crescita della spesa pubblica in deficit sono il tasso di inflazione, la disponibilità di lavoro e di altre risorse del proprio sistema economico. In altri termini l’indebitamento dello Stato, protratto nel tempo, può proseguire finché c’è la disponibilità di manodopera e degli altri fattori della produzione, anche se al riguardo la Banca Mondiale considera la monetizzazione una forzatura, soprattutto a lungo termine, visto che le precedenti ondate di debito si sono spesso concluse con tracolli finanziari globali.

In generale, per gli economisti critici della Mmt, la questione di quanta spesa pubblica in deficit sia possibile creare senza provocare inflazione è una questione empirica, da risolvere con modelli econometrici. Per uno Stato un forte aumento della spesa pubblica è possibile, ma è necessario dimostrare che il finanziamento sia sostenibile in quanto esiste un vincolo di bilancio che va soddisfatto o con la tassazione o con l’inflazione, che è una tassa a sua volta.

Ciononostante Mario Draghi, e poi Christine Lagarde, per aggirare in qualche modo il divieto espresso dai Trattati europei, hanno immesso nel mercato, attraverso il programma di alleggerimento quantitativo (Qe), una grande quantità di liquidità acquistando attività finanziarie dei vari paesi europei e ottenendo, in tal modo, una caduta generalizzata dei saggi di interesse.

Questa manovra ha ridotto sostanzialmente l’onere del debito per tutti i paesi Ue. La Bce con il Qe ha attuato una politica economica che, nel breve periodo, ottiene gli stessi effetti della monetizzazione del debito ma, poiché nell’Eurozona vige il divieto di finanziamento monetario, la Banca centrale europea non può sterilizzare le attività finanziarie a tempo indeterminato. Lo statuto della banca infatti non lo consente, per evitare che la manovra monetaria attuata, anche se non convenzionale, si trasformi in aiuto di Stato.

La monetizzazione del debito colpisce al cuore la tradizione economica consolidata, ma forse è l’unica soluzione per un debito pubblico così alto.

* Responsabile progetti economici-ambientali Unimed, già docente di politica economica presso l’Università la Sapienza di Roma

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