Tornano a giudizio davanti alla Corte dei Conti, per la vicenda della stipulazione di contratti in prodotti finanziari derivati con la banca d’affari statunitense Morgan Stanley, gli ex ministri dell’Economia Vittorio Grilli e Domenico Siniscalco, oltre agli ex vertici del Mef Maria Cannata, ex dirigente del debito pubblico, e l’ex dg del Tesoro Vincenzo La Via. Lo ha deciso la Cassazione che ha accolto il ricorso del Procuratore generale della Corte dei Conti – che lamenta mala gestio e un danno erariale totale di 3,9mld di eurocontro l’archiviazione del caso per difetto di giurisdizione. Sul merito, adesso, scrive la Suprema Corte, “dovrà pronunciarsi il giudice contabile di primo grado”. Ossia la Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio, in diversa composizione. A fare da guida per stabilire eventuali responsabilità, sarà un apposito principio di diritto fissato dagli ‘ermellinì delle Sezioni Unite – verdetto 2157 depositato oggi – in tema di valutazione dei parametri in base ai quali i contratti derivati sono stati stipulati e gestiti.

La vicenda del derivati sottoscritta dal Tesoro è tecnicamente piuttosto complessa ma proviamo qui a riassumerla in termini semplici. Come noto l‘Italia ha da anni un ingente debito pubblico, oggi pari ad oltre 2mila miliardi di euro, su cui ogni anno paga interessi per 50 miliardi di euro. Per tutelarsi dagli effetti di possibili rialzi del costo del denaro che comporterebbe un aumento dell’esborso per pagare gli interessi è uso stipolare quelle che sono una sorta di assicurazione, i contratti derivati appunto. La pratica è utilizzata da tutte le tesorerie, non solo da quella italiana. Ma come si dice il diavolo sta nei dettagli e in un contratto di questo genere di dettagli ce ne sono veramente tanti. Secondo l’accusa le condizioni concordate con Morgan Stanley erano troppo sfavorevoli per il nostro paese. Soprattutto, al verificarsi di determinate condizioni, davano alla banca americana la possibilità di uscire anticipatamente dall’accordo incassando eventuali plusvalenze. Cosa che sarebbe puntualmente accaduta causando un danno ai conti pubblici di quasi 4 miliardi di euro. Clausole così punitive da rendere il contratto con Morgan Stanley più simile ad una speculazione vera e propria che a una forma di protezione dal rischio.

“Ferma restando l’insindacabilità giurisdizionale delle scelte di gestione del debito pubblico, da parte degli organi governativi a ciò preposti, mediante ricorso a contratti in strumenti finanziari derivati, – continua la Cassazione – rientra invece nella giurisdizione contabile, in quanto attinente al vaglio dei parametri di legittimità e non di mera opportunità o convenienza dell’agire amministrativo, l’azione di responsabilità per danno erariale con la quale si faccia valere, quale petitum sostanziale, la mala gestio alla quale i dirigenti del Ministero del Tesoro (oggi Mef) avrebbero dato corso, in concreto, nell’adozione di determinate modalità operative e nella pattuizione di specifiche condizioni negoziali relative a particolari contratti in tali strumenti”.

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