Ha deciso di presentarsi al suo giuramento avvolta in un cappotto viola in omaggio a Shirley Chisholm, la prima donna afroamericana che si è candidata alla Casa Bianca nel 1972. Usava quel colore per i volantini della sua campagna elettorale. Chisholm è una figure che più hanno ispirato negli anni Kamala Harris, che da oggi entra nella storia come prima vicepresidente donna degli Stati Uniti, e per giunta prima afroamericana a ricoprire l’incarico. Fra quattro anni potrebbe essere proprio lei la candidata alla presidenza, per cercare di sfondare quel tetto di cristallo che Hillary Clinton nel 2016 non è riuscita ad abbattere. “Sono qui grazie alle donne che mi hanno preceduto“, ha twittato Harris poco prima di insediarsi, ricordando la madre arrivata negli Stati Uniti dall’India e tutte quelle generazioni di donne “afroamericane, asiatiche, bianche, native americane che si sono battute per l’uguaglianza e la libertà e che continuano a combattere per i loro diritti”.

Se questo 20 gennaio è stato ufficialmente il giorno di Joe Biden, tutti gli occhi erano puntati su di lei, e Harris ne era consapevole: raggiante e visibilmente emozionata, ha giurato nelle mani di Sonia Sotomayor, la prima giudice della Corte Suprema di origini ispaniche, proponendo al mondo l’immagine di una nuova America, di un cambio di passo e di un’ascesa delle donne. E anche le due Bibbie sulle quali ha giurato sono legate ad altrettanti mentori al femminile, cruciali per la sua ispirazione umana e politica. Una è di Regina Shelton, ritenuta da Kamala e da sua sorella Maya una ‘seconda madre’; l’altra dell’icona dei diritti civili Thurgood Marshall, che ha ispirato la sua carriera.

Con le 71 parole del giuramento Harris è entrata in quel piccolo, piccolissimo olimpo rosa alla guida del governo americano. Per tutto il tempo l’ha guardata con soddisfazione il marito Doug Emhoff – primo ‘second gentleman’ della storia americana -, ed è stata festeggiata da milioni di donne negli Usa che oggi hanno indossato in suo onore le sue tanto amate perle. A fissarla c’era anche il vice presidente uscente Mike Pence. Lui e la Harris non potrebbero essere più diversi. In comune hanno solo un’ambizione: l’aspirazione a diventare presidenti. Tutti e due guardano al 2024, al dopo Biden, la cui era si è appena aperta ma che molti si aspettano duri solo quattro anni.

Da senatore più giovane della storia americana a presidente più anziano con i suoi 78 anni, Biden potrebbe infatti essere leader per un solo mandato, aprendo di fatto la porta alla sua vice che, secondo molti, durante i prossimi quattro anni studierà proprio da Commander in Chief, rivoluzionando il tradizionale ruolo del numero due. Un ruolo ombra, di secondo piano, ma che Harris ha già radicalmente cambiato solo con la sua nomina. Senza contare che sarà l’ago della bilancia in un Senato spaccato esattamente a metà fra 50 democratici e 50 repubblicani. Harris avrà, se necessario, il voto cruciale per far pendere la bilancia verso il suo partito.
Con lei inoltre arriva a Number One Observator Circle una Second Family rivoluzionaria, contraltare moderno alla più tradizionale famiglia di Joe e Jill Biden. Una Second Family che, in un futuro non troppo lontano, punta alla Casa Bianca.

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