Professore di procedura penale all’università dell’Insubria, 54 anni, una laurea in Legge e una in Filosofia, viareggino prestato a Como, è Sergio Novani l’analista processuale che sta dietro la possibile riapertura del processo per il delitto di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa da Brembate di Sopra (Bergamo) il 26 novembre 2010, e il cui corpo fu ritrovato tre mesi dopo in un campo, con numerose ferite inflitte. Nel 2014 il muratore Massimo Giuseppe Bossetti è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio. Una conferma dei processi di primo e secondo grado. Per i giudici della Suprema corte il “Dna di Ignoto 1 è quello di Bossetti ed è illogica ogni ipotesi di complotto”.

“Sono nel team dei suoi difensori da allora. Quante notti passate a scrivere atti e ricorsi. Oggi il caso potrebbe riaprirsi”, spiega a ilfattoquotidiano.it Novani. La Cassazione ha infatti accolto la richiesta dei difensori di Bossetti che chiedono di poter accedere alle prove del Dna. “Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulla mutandine della vittima, e quelle dell’imputato” scrisse la Cassazione nelle motivazioni della sentenza di condanna. Ma è proprio sulla prova del Dna che oggi torna a giocarsi una possibile partita per la riapertura del processo. Anche se vale la pena ricordare che non è solo sulla base di quella prova che l’imputato è stato condannato. Ma anche per le immagini del furgone, le celle telefoniche, le fibre trovate nel mezzo.

In che modo la prova del Dna può far riaprire il caso?
Per tre gradi di giudizio Massimo Bossetti è stato sempre condannato all’ergastolo, sulla base di accertamenti sul Dna fatti dai Carabinieri del Ris nelle indagini e che su affermazione della Procura non potevano più essere effettuati durante il processo, perché non c’era più materiale analizzabile. Quest’uomo si è dovuto accontentare di difendersi sulla base di quanto era stato scritto dagli altri. Ma la difesa ha diritto di fare gli accertamenti, di verificare che quello che stai accertando nelle indagini corrisponda al vero. È un fondamento sacrosanto del diritto penale.

Quale è stata la svolta?
Nel novembre 2019 chiediamo al presidente del Tribunale di Bergamo di analizzare quello che rimane del materiale biologico, sapendo che per tre gradi ci avevano detto che non c’era più niente. La risposta è sorprendente perché ci autorizza ad analizzare indumenti e materiale biologico. Strano, perché ci avevano detto che non c’era più. Abbiamo chiesto ora e luogo in cui vederli e analizzarli. Nel gennaio 2020 il solito presidente ci risponde: non potete fare assolutamente niente, perché abbiamo disposto la confisca di questi reperti e del materiale biologico. E parla di 54 flaconcini di Dna.

Cosa significa?
Quando finisce un processo si decide cosa fare dei reperti: si restituiscono ai genitori, vengono distrutti? Il giudice in questo caso ha deciso di confiscarli, di mandarli a patrimonio dello Stato. In genere gli indumenti vengono restituiti oppure vengono trattenuti per un certo periodo al fine di verificare se ci sono stati errori processuali. Ma la confisca li rende inaccessibili. Per noi è stata una doccia fredda. Facciamo altre due istanze, ma il presidente del tribunale le dichiara inammissibili.

Così vi siete rivolti alla Cassazione?
Sì. La Cassazione decide l’11 di gennaio 2021: annulla questi provvedimenti e rinvia alla Corte di assise di Bergamo perché decida giorno e luogo per analizzare i reperti.

Come potreste far riaprire il processo?
Noi dobbiamo aspettare le motivazioni della Cassazione ma è chiaro che stiamo pensando seriamente di fare un giudizio di revisione, che dovrebbe portare a un nuovo processo per Massimo Bossetti. L’imputato non può fare un accertamento per sapere se sia effettivamente colpevole perché non c’è più Dna. E poi nel 2020 il Dna riappare magicamente? Stiamo riflettendo sull’ipotesi di reato per aver nascosto 54 provette di Dna.

Dove si trova questo Dna adesso?
Nel momento in cui è stato confiscato si dice che sia andato a finire nella cancelleria del tribunale. Noi speriamo che sia conservato come si deve, a certe temperature. Qualora non fossero conservati bene i reperti, qualcuno ne dovrà rispondere.

Articolo Precedente

Tunisia, dieci anni dopo la rivoluzione la giustizia si fa ancora attendere

next
Articolo Successivo

Caso cardinale Becciu, Vaticano non chiede più l’estradizione di Cecilia Marogna: “Concessa libertà provvisoria”

next