Dieci manager di Leonardo sono indagati per corruzione tra privati in un’inchiesta della procura di Milano. I militari del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza milanese hanno acquisito nelle sedi della società, a Roma e a Pomigliano d’Arco, documenti nell’ambito dell’indagine, coordinata dal pm Gaetano Ruta, che ipotizza anche il riciclaggio e reati fiscali. Il gruppo risulta parte offesa. Nell’inchiesta, che riguarda in totale 14 persone fisiche e tre giuridiche, sono indagate anche Google Ireland e Google Payments in relazione solo al riciclaggio. Un portavoce di Google ha assicurato “massima collaborazione”.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, quest’ultima piattaforma veniva utilizzata per eseguire le transazioni frutto della corruzione e le due società avrebbero avrebbero consentito “il trasferimento di somme di denaro provento di frode fiscale” ostacolando “l’identificazione della provenienza delittuosa”, scrive il pm nelle imputazioni dell’ordine di esibizione atti. Attraverso la “interposizione” delle due società non era possibile “risalire all’identificazione del soggetto che ha disposto i bonifici”.
Al centro della ricostruzione di inquirenti e investigatori c’è una fornitore di Leonardo, Transpart, società di intermediazione nella distribuzione di parti, materiali ed equipaggiamenti destinati ai più diversi settori, da quello militare a quello aerospaziale, dai trasporti fino al petrolchimico. Società con sede a Milano e che vede indagati 4 manager, i quali, secondo gli accertamenti, in cambio di commesse avrebbero corrisposto ai dipendenti di Leonardo regalie e compensi anche sotto forma contratti di consulenza fittizi. Denaro, questo, proveniente da fondi neri che i dipendenti della società fornitrice con sede in corso Sempione, avrebbero creato ‘dirottando’ parte dei proventi delle commesse (lecite) su una consociata statunitense, la quale, a sua volta, tra il 2012 e il 2018 ha trasferito, in assenza di giustificazioni contrattuali e contabili, 6 milioni di euro su tre off-shore con sedi, una a Panama, una nel Regno Unito e una in Irlanda.
Per far rientrare tale somma in Italia ai fini del pagamenti di mazzette, è lo schema ipotizzato, ci si sarebbe servirti di due riciclatori che a loro volta avrebbero usato la piattaforma di pagamento Google Pay. In particolare, riguardo a questo passaggio, i finanzieri hanno ricostruito, tra il 2017 e il 2019, 25 operazioni dall’estero verso l’Italia per un totale di 400mila euro. Operazioni che avrebbero visto l’interposizione di due società del colosso di Mountain View nella canalizzazione dei fondi in modo da ostacolare l’identificazione degli autori dei bonifici e dell’origine della provvista.
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