Chi pesca di frodo con ordigni esplosivi commette il delitto di disastro ambientale, rischiando così la reclusione da 5 a 15 anni, perché distrugge in modo indiscriminato la fauna e l’habitat, alterando l’ecosistema e l’equilibrio tra le specie marine. Lo ha stabilito, di recente, la Cassazione (sez. 1, n. 17646 del 9 giugno 2020) per un caso gravissimo accertato nel mare di Taranto dove la difesa richiedeva si applicasse solo la contravvenzione per pesca vietata.

La suprema Corte, invece, ha ritenuto esattamente il contrario sulla base di una consulenza effettuata dall’Istituto per l’ambiente marino e costiero proprio sul tratto di mare tarantino, da cui emergeva con certezza che le esplosioni avevano provocato danni, diretti e indiretti, all’habitat marino e all’ittiofauna, evidenziando, tra l’altro, che le esplosioni subacquee producono un’onda di pressione che genera danno ai pesci con vescica natatoria, oltre che a uova e larve.

Insomma un vero e proprio disastro ambientale irreversibile. Così come del resto aveva ritenuto a carico di chi, sempre nel mare di Taranto, aveva distrutto, con la pesca intensiva, la specie delle oloturie (i “cavoli di mare”) e di chi aveva asportato abusivamente coralli da un’area protetta (me ne sono già occupato su questo blog). Tanto più che, anche a causa di questi metodi illegali di pesca, oltre che, ovviamente, del crescente inquinamento, il nostro patrimonio ittico è sempre più scarso.

Meno male, quindi, che dal 2015 abbiamo una legge ecoreati che, pur se con diversi difetti, punisce finalmente i delitti contro l’ambiente come il disastro ambientale. Ma in proposito è interessante notare che, nella battaglia per l’approvazione di questa legge (avvenuta, poi, praticamente all’unanimità) si ritenne opportuno togliere dal testo una disposizione sacrosanta che vietava l’uso dell’airgun nelle trivellazioni petrolifere.

Ne ho già scritto ma, per chi non se lo ricorda, l’airgun è considerato dall’Ispra (il nostro massimo organo di controllo scientifico governativo in campo ambientale) la “dinamite del nuovo millennio”, in quanto si tratta di “cannoni” che vengono riempiti con aria compressa e poi svuotati di colpo producendo così delle grosse bolle d’aria subacquee che, quando implodono, producono suoni di fortissima intensità e bassissima frequenza; con grave pericolo per tutta l’ittiofauna, soprattutto per le specie a rischio. E sempre l’Ispra nel dicembre 2019 ha ribadito che “nel complesso studi e osservazioni mostrano la potenzialità che taluni effetti minaccino detti equilibri ecosistemici, s’impone pertanto un approccio cautelativo e precauzionale…”.

Eppure, nonostante alcune cautele introdotte nel 2019, l’airgun è sempre lì ed è sempre il metodo preferito per le indagini sulle trivellazioni. Certo, non è la stessa cosa, ma si tratta, come nel caso della pesca con esplosivi, sempre di fortissime esplosioni atte a provocare gravi alterazioni dell’habitat e degli ecosistemi marini.

E allora, se pure non si riesce a vietare le trivellazioni, non sarebbe il caso, sulla scia di questa sentenza della Cassazione, di riprendere questa battaglia e di prevenire ulteriori disastri ambientali, vietando finalmente, una volta per tutte, di distruggere il mare con i cannoni dell’airgun?

Se qualcuno non ricorda, ecco quale era ed è l’articolo da inserire nel codice penale: “Chiunque, per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini finalizzate alla coltivazione di idrocarburi, utilizza la tecnica dell’airgun o altre tecniche esplosive, è punito con la reclusione da uno a tre anni”.

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