“Le polemiche non ci interessano. Per noi al centro c’è il paziente, l’attenzione e la cura che mettiamo nel nostro lavoro”. Lorenzo Siracusano è il responsabile della logistica di Emergency che ha consentito ai medici di Gino Strada di arrivare a Crotone a inizio dicembre per dare una mano al personale sanitario dell’ospedale San Giovanni di Dio ad affrontare l’emergenza Covid.

Gli attacchi arrivati dal presidente della Regione ad interim Nino Spirlì (“Non ci serve Gino Strada, non abbiamo bisogno di medici missionari africani”), non sono all’ordine del giorno tra le tende allestite all’esterno del nosocomio che, in queste settimane, è diventato il simbolo non solo di come le cose non vanno nella sanità calabrese ma anche di come basterebbe poco per farle funzionare.

Un commissariamento che dura da più di 10 anni nel corso dei quali sono stati finanziati e mai realizzati 4 ospedali mentre ne sono stati chiusi 18 creando disagi ai cittadini. Ma anche due Aziende sanitarie sciolte per le infiltrazioni della ‘ndrangheta e interi reparti soppressi per mancanza di personale a causa del blocco del turnover imposto da un piano di rientro “lacrime e sangue” che, in soldoni, vuol dire zero assunzioni per sostituire medici e infermieri andati in pensione.

“Il collasso è il frutto di interessi che si appropriano di risorse importanti destinate alla sanità calabrese”. Il consigliere regionale del Partito democratico Carlo Guccione ne è convinto: “Parliamo di 3,5 miliardi all’anno per pagare interessi di mora, doppie e triple fatture, e beni e servizi che vengono prorogati addirittura da 12-13 anni. Il tutto senza procedure di gara”. Ecco perché, secondo l’esponente del Pd, “la presenza di Emergency in Calabria ci ha aiutato a uscire fuori da una situazione di grave difficoltà dovuta alla mancata predisposizione e operatività del piano di contrasto al Covid che doveva essere messo in campo dall’ufficio del commissario. Anche se Emergency è solo a Crotone, e non in tutta la Calabria, è comunque un segnale importante. A Cosenza sarebbe stata la stessa cosa perché i medici di Strada sono andati in aiuto all’ospedale pubblico. Il problema è che l’istituto del commissario ha fallito. In Calabria si sono succeduti generali della guardia di finanza e dei carabinieri ma il deficit è cresciuto e i livelli essenziali di assistenza sono tra i più bassi d’Italia pur avendo, in 11 anni, gestito oltre 38 miliardi di euro. Questa è la verità”. “La sanità delle regioni in Italia ha fallito. – conclude Guccione – Il Covid ci ha insegnato che la sanità deve ritornare in capo allo Stato. E questo non riguarda solo la Calabria. Non possiamo avere 20 sanità diverse”.

Chi conosce bene il marcio della sanità calabrese è Santo Gioffré, medico e scrittore che nel 2015 fu nominato commissario dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria. Lì si era si era accorto che le casse dell’Azienda erano un pozzo dove mangiavano tutti, un luogo dove le ruberie erano all’ordine del giorno. Senza soldi, ospedali e aziende sanitarie non possono funzionare. È come curare un paziente senza conoscere la sua patologia. Allo stesso modo, per comprendere le ragioni del collasso delle strutture sanitarie non si può non partire dai numeri che la Corte dei Conti nelle settimane scorse ha spiegato essere impietosi.

“L’Asp di Reggio Calabria era stata sbrindellata dai cani”, scrive Santo Gioffré nel suo ultimo libro, “Ho visto”, pubblicato poche settimane fa da Castelvecchi. È la storia della “grande truffa nella sanità calabrese”. Gioffré aveva scoperto quella che definisce la “contabilità orale” in un’Asp che, dal 2013, non ha più approvato i bilanci perché nessuno, commissari prefettizi compresi, sono stati in grado di ricostruire a quanto ammonta il debito. Un giorno addirittura l’ex commissario si è rivolto ai pm dopo aver bloccato un pagamento di 6 milioni di euro alla clinica “Villa Aurora” che lo aveva già incassato sette anni prima.

Così funzionavano le cose all’Asp di Reggio dove gli appalti venivano prorogati senza alcun bando pubblico e le fatture dei fornitori venivano pagate due e tre volte con buona pace di chi, negli anni, doveva controllare che i soldi pubblici venissero spesi per garantire, anche in Calabria, una sanità degna di un Paese civile. “Dentro l’Asp era attiva un’organizzazione criminale, composta da potenti colletti bianchi, massoni, dipendenti infedeli, grandi proprietari di strutture sanitarie che fornivano servizi all’Asp, multinazionali del farmaco, studi professionali e tant’altri”. La rivoluzione che aveva in mente, Gioffré non l’ha potuta realizzare. Il motivo? Nel 2013 si era candidato, senza essere eletto, a sindaco di Seminara, un paesino di 1500 abitanti in provincia di Reggio, e dunque compreso nel territorio dell’Asp che due anni dopo sarebbe andato a dirigere come commissario. Secondo la legge, però, di anni ne sarebbero dovuti passare cinque per far cadere il divieto per un ex candidato di dirigere un’azienda sanitaria. Quattro parlamentari del Movimento Cinque Stelle segnalarono la cosa all’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone il quale decise che Gioffré non poteva essere commissario di quell’Azienda sanitaria: Alla quale, però, aveva fatto risparmiare milioni di euro togliendo il velo a quello che, nel suo libro, definisce il “sistema di ruberie che per anni, nella totale disattenzione di tutte le autorità, periferiche e centrali dello Stato, una banda di lestofanti e colletti bianchi, godendo di una impunità e complicità totale, avevano devastato i conti dell’Asp, impedendo, per sempre, alla Calabria di uscire dai rigori del piano di rientro, piano che aveva solo fatto macelleria sociale”.

Andato via Gioffré, nel 2019 l’Asp di Reggio è stata sciolta per infiltrazioni mafiose. Contattato telefonicamente, lo scrittore ed ex commissario spiega il suo punto di vista: “Chi ha creato questa situazione lo ha fatto con il preciso obiettivo di non permettere che si potessero, a un certo punto, riequilibrare i conti. Che poi ci sia la ‘ndrangheta dietro è molto probabile. Ma quello che appare sono i potenti colletti bianchi, i massoni, le frange di un’economia deviata che, sapendo di queste debolezze, si inserivano sempre di più in questo sistema. Come hanno fatto pure le grandi multinazionali. Sostanzialmente la Calabria, nella storia, è stata vista come una terra da usare. Questa è la Calabria della sanità. Qui c’è una concentrazione di poteri molto forti. Poteri di banche e di persone che ne hanno approfittato. C’è stato anche chi doveva controllare e non lo ha mai fatto. Questo è il problema”.

“Persino i partiti politici – aggiunge – negli anni si sono interessati distrattamente della sanità calabrese perché in fondo a loro non interessava. A loro stava benissimo. Quando al sistema sanitario lombardo, veneto o emiliano arrivavano 100 milioni l’anno per i calabresi che si curavano in quelle regioni, a loro andava bene perché si costruivano i grandi imperi economici. Tutto questo sistema alla fine l’ha pagato la povera gente. La gente non è stata più abituata a pensare che la sanità possa essere un diritto costituzionale. Questo equilibrio è saltato adesso con il virus perché la gente non ha avuto il tempo di andarsene. Il piano di rientro in fondo è stato al servizio di tutti gli interessi loschi che ci sono in Italia: da una parte la ‘ndrangheta e dall’altra parte l’economia deviata che ha usato la Calabria per accaparramento di ingenti quantità di soldi illeciti. So che è una cosa forte quella che dico. Ma è così, altrimenti non si capisce come sia stato possibile che tutti governi non si sono mai chiesti il perché, in Calabria, non si raggiungono i livelli essenziali di assistenza e il debito continua ad aumentare. Se questo dato non mette in allarme il Mef o il ministero della Salute, e tutto scivola come olio su una pietra, significa che c’è qualcosa di più profondo, qualcosa che va a toccare i veri interessi”.

“Quello che è successo in Calabria è tutto da scrivere. – conclude sconsolato l’ex commissario – Io ho tentato un intervento di ricostruzione del bilancio, nei cinque mesi della mia gestione. Lo sapevano tutti, forse per questo mi fermarono con un artificio tecnico legale. La sanità è stata una mangiatoia dove gli interessi spesso si incrociavano. E potevano essere anche interessi di Stato. Parliamo di Stato deviato. Io ho il sospetto che con la sanità calabrese si sono creati dei fondi neri per fare operazioni di vario tipo”.

Un j’accuse durissimo quello di Gioffré che fa il paio con un episodio denunciato nel suo libro. Si tratta di un incontro avvenuto a Roma il 4 settembre, lo stesso giorno in cui l’Anac sentenziò la cacciata del commissario dell’Asp di Reggio. “Saluti, signor Gioffré come state”. Un signore, ben vestito, lo avvicinò mentre era seduto a un tavolino di un bar assieme a un amico. Con la cadenza calabrese, quel signore che non si presentò gli disse: “Leggo, in questi giorni, un continuo vostro lamento per il fatto che vi hanno cacciato dall’Asp di Reggio Calabria… di una vostra voglia di lottare e denunciare che siete stato sollevato proprio mentre stavate per scoprire tante malefatte nell’Asp… Lasciate stare… godetevi la vita. È andata così e, invece di rovinarvi il fegato, baciate ogni giorno la terra che vi sorregge senza scomodare i santi, visto che voi siete un non credente. Il vostro destino, dopo le cose che avevate scoperto a Reggio, non era quello di starvene qui ora e neanche altrove”.

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