In Lazio e Puglia i presidi si mettono di traverso rispetto alla riapertura delle scuole in presenza dal 7 gennaio. Perché, sostengono, l’offerta del trasporto pubblico è ancora inadeguata a consentire il necessario distanziamento e tutto l’onere della riorganizzazione, anche degli orari, ricade appunto sugli istituti. E in Lazio trovano la sponda dell’assessore regionale del Lazio alla Sanità, Alessio D’Amato, che in un’intervista al Messaggero chiama in causa il governo: “Con questi dati in crescita faccio un appello a riflettere bene sulla riapertura delle superiori il 7 gennaio. Devono restare chiuse, in tutta Italia. Sarebbe estremamente imprudente in questa fase dell’epidemia riaprire tra una settimana”. In Puglia invece la Regione sta valutando una proroga della discussa ordinanza che consente ai genitori di scegliere se mandare i ragazzi a scuola o farli seguire a distanza.

Bonaccini: “Dalle Regioni c’è preoccupazione” – “Io credo sarebbe giusto che il governo nelle prossime ore ci riconvocasse e insieme prendessimo una decisione, in maniera molto laica”, dice il presidente dell’Emilia-Romagna e delle Regioni Stefano Bonaccini, al Tg3. “Se c’è preoccupazione, diffusa nel Paese, che questa possa comportare ancora un rischio, alla luce dei numeri che ci sono, eventualmente ci si ritrova e si discute. E capiamo anche il governo cosa ritiene, visto che ho sentito anche voci che provengono da esperti che il governo utilizza per prendere decisioni che poi riguardano la parte scientifica”. Il governatore ricorda che “noi eravamo favorevoli” alla riapertura “perché gli studenti di questo Paese, in particolare quelli delle scuole superiori, stanno pagando un prezzo altissimo. In molti Paesi europei se non tutti le scuole non avevano mai chiuso”. Adesso, però, continua il presidente delle Regioni “condivido le preoccupazioni dei miei colleghi, soprattutto mi sono fatto carico, come presidente della conferenza delle Regioni, quando noi come Emilia-Romagna eravamo pronti ad aprire al 75%, di tenere conto che la maggioranza delle regioni chiedeva di partire con più prudenza al 50%. E questo è stato l’accordo trovato qualche giorno fa con il governo”.

Presidi: “Nessuno ci ascolta” – Dal canto suo Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale Presidi, intervistato da Corriere della Sera e Stampa sottolinea: dicono tutti “che la scuola è centrale”, ma “quando è ora di decidere come cambiarla per adattarla all’emergenza del Covid, nessuno sente la necessità di ascoltare il mondo della scuola, di capire quali sono le esigenze degli adolescenti”. Bisogna “tener conto di tutte le giuste esigenze di docenti e personale. Quindi auspichiamo di continuare al 50 per cento fino alla fine di gennaio”. Ci sono province “dove i piani sono stati fatti ascoltando anche la scuola, e le soluzioni funzionano. In altri posti come a Roma, dove non si è ascoltata la scuola, ci sono delle criticità. Ma in linea di principio era una buona idea quella di non fare regole nazionali come in passato valide per tutte le realtà, ma di decidere provincia per provincia come procedere”. Tra i punti più criticati l’inizio della giornata scolastica alle 10: “La metà degli studenti italiani delle scuole superiori frequenta un istituto tecnico o un professionale: sono almeno 6 ore al giorno. L’organizzazione della loro vita sarà sconvolta. Escono alle 16.30, senza aver mangiato, prendono un bus o un treno, arrivano a casa affamati alle sei di sera. A che ora faranno i compiti? Alle 21…”. La didattica “dovrà tenere conto del cambio di orario. Compiti, direi che ce ne potranno essere pochi. Se si fosse rimasti su un doppio turno tra le 8 e le 9, questi problemi si sarebbero potuti risolvere”.

Lazio – Per l’assessore laziale D’Amato la questione è nazionale: “Il problema è dell’intero Paese. Occorre grande prudenza, siamo nella fase più delicata della pandemia, ci sono tre mesi invernali di fronte e noi saremo impegnati in una complessa campagna vaccinale. Il problema non sono le lezioni in aula – prosegue – ma tutto ciò che sposta la scuola, tutto ciò che gira attorno alla scuola. Pensare di ripartire, alle superiori, quando registriamo più di 20mila casi al giorno non ha senso”. Non solo: “I dati che stiamo vedendo sono effetto dei contagi avvenuti una decina di giorni fa in coincidenza con lo shopping natalizio e gli spostamenti fra regioni. Servono altri giorni per capire se ci sarà un assestamento o se si tornerà a crescere”.

Dal canto suo il presidente dell’Associazione nazionale presidi per il Lazio Mario Rusconi avverte: “Le scuole nel Lazio non riapriranno se le istituzioni che si interessano di trasporti, sanità e ordine pubblico non garantiranno quanto di loro competenza. Ad oggi manca ancora il piano trasporti. D’Amato afferma che le superiori non possono tornare in presenza il 7 gennaio perché sa che il Lazio non è in grado di garantire le condizioni di sicurezza necessarie per la riapertura”. Quindi, nonostante “noi siamo da sempre per la frequenza degli studenti in presenza, non in dad”, servono “alcune condizioni: distanziamenti in classe, misure profilattiche previste dal Cts e che siano adeguati e funzionali i trasporti pubblici. Far entrare i ragazzi alle 10 significa spostare l’uscita alle 16, arrivare a casa alle 17.30-18 rovinando la giornata dei nostri adolescenti da un punto di vista fisiologico e di studio. Inoltre, nel Lazio e nel centro sud a differenza di altre regioni non abbiamo ancora un piano trasporti dettagliato, cioè non c’è contezza degli orari dei trasporti. Si presume forse che i ragazzi possano essere lasciati a bighellonare per strada in attesa dell’inizio delle lezioni?”. Inoltre, attacca Rusconi, “a Roma noi dirigenti scolastici non siamo stati ascoltati. A Milano e provincia invece sì: lì gli orari degli ingressi a scuola e il piano trasporti sono stati inseriti in un progetto globale di aziende, uffici, negozi. Nella Capitale questo non è stato fatto. Il punto è che finché si agirà solo sulla scuola sarà irrealizzabile la ripartenza”.

Puglia – In Puglia l’assessore regionale all’Istruzione, Sebastiano Leo, convocherà nei primi giorni della prossima settimana una riunione con l’Ufficio scolastico e i sindacati, alla quale parteciperà anche l’assessore alla Sanità, Pierluigi Lopalco, e l’assessora ai Trasporti, Anita Maurodinoia, per fare il punto della situazione. Le prefetture pugliesi hanno adottato piani operativi seguendo le indicazioni arrivate da Roma e ci si sta preparando al rientro a scaglioni degli studenti, con orari d’ingresso e uscita differenziati. Tra le ipotesi, non è da escludere che la Regione, considerata anche la situazione epidemiologica che vede un calo molto lento dei contagi, possa decidere di prorogare l’ordinanza che concede ai genitori la possibilità di decidere tra didattica in presenza e a distanza.

L’Anp ha chiesto un incontro “urgentissimo” con il presidente della Regione Michele Emiliano e gli assessori alla Sanità, Trasporti e istruzione. “Non nascondiamo la nostra delusione – afferma il presidente, Roberto Romito – per la sostanza di gran parte delle decisioni assunte dai partecipanti ai tavoli fra i quali, non figuravano le scuole, sebbene esse siano a tutti gli effetti pubbliche amministrazioni dotate di autonomia funzionale e organizzativa”. Romito parla di “delusione e forte preoccupazione” per il fatto che i tavoli in prefettura hanno “preso atto della sostanziale rigidità dell’offerta (dei trasporti, ndr) e, quindi, hanno scaricato sulle scuole l’onere esclusivo di modificare la propria domanda attraverso la diversificazione in due turni degli orari di ingresso e di uscita, che è stata loro imposta dalle varie deliberazioni prefettizie”. “Pertanto si ripete lo schema perverso che da mesi stiamo denunciando: i trasporti (e la sanità, e l’edilizia scolastica) non si adeguano né si potenziano significativamente, o rimandano tali eventi al futuro; le scuole, invece, oggi come ieri e come domani, si devono adeguare, con lo stravolgimento totale del loro assetto organizzativo, faticosamente raggiunto in mesi di lavoro ininterrotto, tra infinite e mutevoli disposizioni, norme e protocolli”. Per l’Anp, “la diversificazione in due turni apre più problemi di quanti non ne risolva”. L’associazione propone invece di far rientrare a scuola il 50% degli studenti con un unico turno prolungando però di qualche giorno la didattica a distanza e spostando il rientro al 15 o 18 gennaio per dare il tempo per organizzarsi. Questo abbiamo proposto ai vari ‘tavoli’ regionali l’ultimo dei quali tenutosi lo scorso 30 dicembre, al quale sono risultati però assenti, con nostro disappunto, proprio i rappresentanti della Regione Puglia”.

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