Chi pensa che la magia non abbia proprio nulla a che fare con la scienza non ha la più pallida idea a quali giochi di prestigio sono state costrette a ricorrere moltissime scienziate in quest’ultimo anno. Da quando è iniziata la pandemia Covid, per le ricercatrici è stato complicatissimo riuscire a gestire contemporaneamente più fronti: lavoro, figli, casa, genitori malati e così via. Immaginate una donna, ricercatrice che tenta di concentrarsi a fare intricati calcoli al pc, mentre suo figlio di tre anni le gira intorno alla scrivania urlando e giocando a fare l’indiano. Oppure a tutte quelle scienziate che, in vista di una scadenza per la presentazione di un paper, dovevano anche aiutare i propri figli adolescenti con la didattica a distanza. Insomma, un incubo. Perché la bacchetta magica non esiste e il conto che alla fine hanno dovuto pagare molte scienziate è stato piuttosto alto. Basta dare un’occhiata agli studi pubblicati in questi ultimi mesi per rendersi conto che la presenza femminile sulle riviste è stata davvero molto scarsa. Nessuna o poche pubblicazioni possono pesare molto sulla carriera di uno scienziato.

Tra i primi a rendersi conto che l’attività di ricerca di moltissime donne ha subito un ingiusto calo sono state proprio tre donne: Laura Inno, ricercatrice postdoc presso l’Università Parthenope di Napoli e associata Inaf, Alessandra Rotundi, professore ordinario alla stessa università e associata Inaf, e Arianna Piccialli, ricercatrice presso il Royal Belgian Institute for Space Aeronomy di Bruxelles. Le studiose hanno analizzato la produzione scientifica della comunità astronomica italiana durante i primi sei mesi del 2020 alla ricerca di eventuali tracce della divisione diseguale del lavoro domestico tra i due generi, esacerbata nel periodo tra marzo e giugno dalla chiusura delle scuole e dall’assenza di servizi assistenziali compensativi. Il risultato, pubblicato in una lettera alla comunità internazionale sulla rivista Nature Astronomy, è drammaticamente cristallino: a fronte di un leggero calo complessivo dei paper pubblicati come preprint sulla piattaforma Arxiv (il principale repository pubblico di articoli scientifici) rispetto alla media degli ultimi tre anni, risultano significativamente meno le pubblicazioni con una prima autrice donna, mentre quelle guidate da uomini sono addirittura in leggero aumento sulla media degli anni precedenti. “Sicuramente stavamo vivendo una situazione particolare: il nostro lavoro – che si basa su collaborazioni, incontri e congressi – è completamente cambiato in questo periodo, quindi nel nostro piccolo abbiamo sofferto”, racconta Inno.

Le ricercatrici hanno rilevato un calo della produzione scientifica generale dell’8 per cento. “La cosa che ci ha sorpreso è che, mentre gli uomini sembrano non aver risentito del lockdown, con una produzione addirittura aumentata di circa il 10 per cento – spiega Inno – rispetto alla media, le donne hanno pubblicato meno, quindi il decremento totale che noi vediamo è esclusivamente dovuto al decremento nella produzione femminile. La nostra idea è che questo si può spiegare perché, essendo chiuse le scuole ed essendo impossibile ogni tipo di mobilità – non c’era la possibilità di avere baby-sitter o aiuto dai nonni – tutta la cura della casa e dei figli ricadeva sulle ricercatrici donne. Quindi la differenza di produttività è una specie di specchio dello sbilanciamento della distribuzione dei carichi di lavoro familiare tra i generi nel paese, e potrebbe costituire un serio ostacolo nel processo verso la parità di genere”.

Questo gap è evidente anche in altri Paesi. Un report pubblicato lo scorso maggio ha rilevato che le scienziate, in Australia, hanno quasi il doppio di probabilità in più di svolgere lavori precari e hanno quindi maggiori probabilità di perdere il lavoro e le opportunità di carriera. Lo scorso aprile Elizabeth Hannon, vicedirettrice del British Journal for the Philosophy of Science, ha notato che il numero di articoli che riceveva dalle donne era diminuito drasticamente. Non è stato così per gli uomini. “Mai visto niente di simile”, ha commentato su Twitter. “Ho sentito molte storie di donne che hanno abbandonato progetti, che non sono state in grado di portare avanti collaborazioni, e così via. È estremamente preoccupante, soprattutto per la filosofia, che ha già tanto lavoro da fare in termini di parità di genere”, racconta. Il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato una serie di storie emblematiche: scienziate che troppo prese dagli impegni in casa non sono riuscite a portare avanti le loro ricerche.

“La parità di genere non è ancora pienamente compiuta, la discriminazione femminile esiste sotto una forma meno evidente, più sottile e subdola di radice culturale”, commenta Livia Turco, presidente della Fondazione Nilde Iotti. “Negli anni Settanta abbiamo combattuto per le leggi diritti delle donne, con la legge sul divorzio, la legge sulla tutela delle lavoratrici madri, sulla parità del lavoro tra uomo e donna e tante altre conquiste fondamentali ottenute grazie all’impegno di donne in politica come Nilde Iotti che ha speso la sua vita per questo. Ora lo svantaggio femminile – continua – consiste in un soffitto di cristallo in cui il raggiungimento della parità di diritti viene impedito per discriminazioni e barriere di origine socioculturale e ostacoli di natura sociale apparentemente invisibili anche se insormontabili. Parliamo della mancanza di sostegno alla famiglia, di disparità di stipendio oltre che un clima culturale che non sostiene l’avanzamento delle donne e questo accade purtroppo anche tra gli scienziati, nonostante la scienza si basi sui valori di condivisione dei dati e collaborazione, doti in cui le donne eccellono”. Infine, la presidente della Fondazione Nilde Iotti conclude: “Un ringraziamento va alle scienziate che sono state una voce autorevole che ci ha aiutate in questo anno difficile. Hanno dimostrato di avere talento scientifico ed umano. Questi talenti devono essere riconosciuti anche per coinvolgere sempre tante più donne nella ricerca scientifica”.

Foto di archivio

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