Livio Cancelliere è un avvocato di 49 anni che da 18 lavora a Parma come “got”, giudice onorario di tribunale. Ci ha pensato a lungo e ne ha parlato con sua moglie, che in questo momento gli fornisce un supporto fondamentale. Poi dieci giorni fa – e cinque chili fa – ha deciso: ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro le condizioni di lavoro a cui quotidianamente è sottoposto. Condizioni che, oltre a lui, subiscono anche tutti i suoi colleghi non togati, a cui negli ultimi anni è stato demandato l’80 per cento del carico delle udienze penali e il 50 per cento di quelle civili. Il tutto, sostanzialmente, con un pagamento di 98 euro lordi a udienza “senza garanzie retributive, malattia, maternità, pensione e ferie”.

Cancelliere, nel momento in cui parla, ha davanti a sé quattro corposi fascicoli da motivare e per adempiere al suo impegno sa già che gli ci vorranno due settimane di lavoro. Due settimane non comprese nelle indennità previste dalla legge. Lo farà, ma – dice – “è incredibile che l’indignazione sia dovuta crescere fino a forme di protesta tanto estreme”. A ispirarlo sono state tre colleghe palermitane, Vincenza, Sabrina e Giulia, che per prime hanno iniziato a digiunare e che ora hanno sospeso lo sciopero, pronte a riprenderlo. Eppure lo scorso luglio la Corte di giustizia europea – partendo dal caso di un giudice di pace di Bologna – si era pronunciata scrivendo che un magistrato non togato, “nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie“. Rientra, dunque, nella “nozione di lavoratore” senza che a tutt’oggi, tuttavia, abbia un inquadramento adeguato.

Da tempo si parla di una riforma che conferisca uno status dignitoso a questi operatori della giustizia, ma a quasi sei mesi dal pronunciamento europeo non c’è stato alcun concreto passo avanti. Al momento si parla di qualche apertura dall’arco parlamentare e non si dà per impossibile un decreto d’urgenza, ma allo stato attuale non c’è niente di sicuro (si deve attendere almeno fino alla seduta del prossimo 22 dicembre prevista in Commissione Giustizia).

“Il nostro è un lavoro sordo, un lavoro che non viene pagato”, spiega ancora Livio Cancelliere. “Non ci sono solo le udienze, ci sono un prima e un dopo che vanno seguito dal punto di vista professionale. Quando è esplosa la pandemia da Covid-19, durante il lockdown, noi giudici onorari siamo tornati in tribunale per rinviare, fascicolo per fascicolo, tutti i processi che non si potevano svolgere”. Ai primi “got” in sciopero della fame se ne stanno aggiungendo altri. “La nostra protesta”, aggiunge, “è un terremoto nel pianeta giustizia, non si può più tornare indietro”.

Cancelliere esclude di interrompere lo sciopero della fame se non ci saranno risposte certe alle istanze dei magistrati non togati. Semmai valuterà una sua sospensione per poi riprendere qualora la situazione non si dovesse sbloccare. Da agosto, la foto del suo profilo WhatsApp è quella di Ebru Timtik, avvocata curda di 42 anni morta dopo 238 giorni di digiuno. Imprigionata con l’accusa di terrorismo a Silivri, il carcere turco più grande d’Europa, si è battuta fino all’ultimo perché fosse rispettato il diritto a un giusto processo. “La situazione in quel Paese è ovviamente diversa da quella italiana, ma a maggior ragione ho preso la mia decisione. È un fatto di coerenza intima e quando si è sensibili ai diritti umani occorre esserlo sempre”.

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