E’ una fotografia dai mille colori quella scattata dall’Istat sul mondo delle aziende italiane alle prese con le conseguenze della pandemia. I primi due mesi del 2021 saranno ancora di “lacrime e sangue” per molte delle piccole e medie aziende italiane. Almeno 3 su 5 si attendono una perdita di fatturato tra dicembre e febbraio. In molti casi (40%) la previsione è di una flessione marcata, fino al dimezzamento rispetto allo steso periodo del 2019. Solo il 6,4% delle Pmi stima che la flessione degli incassi si fermerà entro il 10%.

Più sorprendenti i dati che riguardano il periodo estivo (giugno-ottobre), quando l’economia nel suo complesso aveva registrato una decisa ripresa. Oltre il 68% delle imprese (che rappresentano il 66% dell’occupazione) dichiara comunque una riduzione del fatturato rispetto al 2019. Nel 45,6% dei casi il fatturato si è ridotto tra il 10% e il 50%, nel 13,6% si è più che dimezzato e nel 9,2% è diminuito meno del 10%. Le aziende con fatturati stabili sono quasi il 20%, un altro 10% segnala un incremento delle vendite. La quota di imprese con vendite in crescita è alta soprattutto nella provincia autonoma di Trento (17,5%), in Veneto (12,5%) e Abruzzo (12,3%). Sul versante opposto, la quota di imprese che fanno registrare una flessione del fatturato superiore al 50% è più alta nel Lazio (18,3%), in Sicilia (17,4%), Campania (17,3%) e Calabria (17,1%). Le valutazioni negative si concentrano naturalmente nei settori più colpiti dalla crisi, ossia servizi di alloggio, ristorazione, agenzie di viaggio e tour operator , attività sportive, di intrattenimento e divertimento e attività creative e artistiche.

Oltre 73mila imprese, che pesano per il 4% dell’occupazione, hanno dichiarato di essere attualmente chiuse: 55mila prevedono di riaprire e 17mila no (l’1,7% delle imprese pari allo 0,9% degli occupati). Circa 152mila aziende, con 1,2 milioni di lavoratori, si trovano una condizione di rischio molto elevato.

Internet e smart working – Nonostante la crisi, il 25,8% delle imprese è orientata ad adottare strategie di espansione produttiva. Anche puntando su Internet. L’interazione con la clientela attraverso i social media, già presente nel 22,2% delle imprese, è stata introdotta o migliorata durante la crisi Covid da un ulteriore 17%. I servizi digitali (newsletter, tutorial, webinar, corsi, ecc.), che erano forniti dall’8,1% delle imprese, sono stati molto rafforzati o introdotti da una quota rilevante di imprese e sono ora resi disponibili dal 21,6% delle imprese.
Hanno avuto una diffusione non irrilevante anche gli investimenti tecnologici per migliorare la qualità e l’efficacia del sito web, con l’effetto secondario di generare dati sull’utilizzo del web da parte della clientela, essenziali per un’ottimizzazione della gestione.

Le imprese prevedono di incrementare progressivamente la quota di personale coinvolto dallo smart working nell’ultima parte del 2020, per poi ridurla ‒ senza tuttavia tornare ai livelli iniziali ‒ nel corso dei primi tre mesi del 2021. L’incidenza degli occupati a distanza raggiunge il 20,1% nelle attività industriali, il 25,0% nelle costruzioni, il 30,8% nel commercio, il 45,5% nei servizi di mercato, il 41,2% negli altri servizi.

La cassa integrazione e il Covid – Il 41,8% delle aziende fa attualmente ricorso alla cassa integrazione. La Cig è generalmente più diffusa nell’industria in senso stretto (dove riguarda ancora il 47,8% delle imprese, in calo rispetto al 76% di maggio scorso), con picchi prossimi o superiori a due terzi nella stampa e nel tessile, abbigliamento e pelli. Nel terziario la riduzione del ricorso a questo strumento, che riguarda comunque il 41,1% delle unità, non ha invece coinvolto le attività più colpite dalle conseguenze dell’epidemia: nei settori di trasporto aereo, agenzie di viaggio, assistenza sociale non residenziale il 70% o più delle imprese ha fatto ricorso a misure di integrazione delle retribuzioni. Il 37,5% delle aziende ha richiesto il sostegno
pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi.

La sicurezza sul lavoro – La necessità di adottare misure sanitarie e adeguare i processi produttivi al fine di ridurre il rischio di contagio ha riguardato la quasi totalità delle imprese Italiane con almeno 3 addetti. Solo l’1,4% (che rappresenta una quota inferiore al punto percentuale in termini di addetti) ha dichiarato di non averne presa alcuna. Al fine di diminuire il rischio di contagio molte imprese hanno dovuto adattare gli ambienti di lavoro, in modo da consentire il distanziamento dei lavoratori nelle varie fasi dei processi produttivi. Fra le imprese attive al momento della rilevazione, una quota del 58,7% ha modificato o sta adattando gli ambienti di lavoro. Il 41,3% delle imprese non ha invece modificato gli ambienti di lavoro: il 6,5% perché tecnicamente impossibile o troppo costoso; il 34,8% per altre motivazioni.

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