di Serena Verrecchia

Caro Matteo, confesso di aver dovuto rileggere più volte la tua intervista. E, credimi, non è stato così semplice, soprattutto per il mio fegato già provato da decenni di politica italiana. Ho letto e riletto le tue parole, cercando di resistere a mal di mare, eruzioni cutanee, labirintite.

Ma devo esser sincera, su un punto in particolare non sono riuscita a darmi una risposta: ma di che cosa deve scusarsi di preciso Giuseppe Conte? “Chieda scusa”, altrimenti “ci sono i numeri per una maggioranza alternativa”. Caspita, Matteo. In tempi normali, leggendo l’ultima “renzata” sui giornali, mi sarei fatta anche una risata. Stavolta però, non ci riesco.

Caro senatore – non ho ancora capito se ti fa piacere oppure no esser chiamato senatore, tu che il Senato volevi abolirlo – vedi, quaggiù, nel Paese normale, non stiamo passando proprio un bel momento. Abbiamo perso persone care, amici, guadagni, distrazioni, prospettive, ottimismo. Non so se lassù, nel Paese di ovatta, vi arrivino i lunghi sospiri che si fanno da queste parti quando nel tuo locale non si presenta nessuno.

Non so se arrivino i sogni tormentati di chi cerca di scacciare la paura, i respiri corti di chi prova a dissimulare il terrore che lo attanaglia quando guarda avanti e vede solo nebbia fitta. Non so se tu ti sia mai ritrovato con la testa tra le mani a chiederti che cosa ci sia al di là della nebbia. Ma qui, da queste parti, va avanti così da mesi. Si fatica.

Non è come ai tempi della guerra, non prendiamoci in giro. Ma si fatica comunque a nascondere la paura dietro una mascherina, a ostentare sicurezza anche quando tremano le gambe al pensiero di veder soffrire una persona cara. Eppure, tu dovresti saperlo: non molto tempo fa, parlavi persino con i morti!

Caro Matteo, nel mondo quaggiù, quando leggi sul giornale che “se Conte non chiede scusa”, Matteo Renzi potrebbe prenderla male e far cadere il governo, ti monta su solo tanta rabbia. Quella rabbia che, mattoncino dopo mattoncino, alza un muro insormontabile tra cittadini e istituzioni. Ma poi, Matteo, di cosa dovrebbe chiedere scusa Conte?

Di averci fatto ottenere 209 miliardi da un’Europa che ci ha sempre guardato con sospetto per decenni? Di aver lavorato giorno e notte per tentare di tirarci fuori da quest’incubo? Di cosa dovrebbe scusarsi, dell’aver rinunciato a una vita agiata per caricarsi sulle spalle 60 milioni di persone che non si accontentano mai? Dovrebbe scusarsi per le nottate che ha passato a mettervi d’accordo, a mediare, a contare i morti e a cercare di capire come evitare di far precipitare nel baratro questo Paese già in equilibrio precario?

O, forse, dovrebbe scusarsi per il disastro che gli avete lasciato in eredità? Per i “no” secchi alle possibilità di rimpasto, per la rinuncia ai metodi della “vecchia politica”? Caro Matteo, spiegaci. Quaggiù facciamo fatica a capire, davvero.

Non so se Conte si scuserà per aver restituito un minimo di credibilità a questo Paese sgangherato. Io, se potessi, gli chiederei scusa anche per te. E, già che ci siamo, gli chiederei scusa per tutti: Presidente, mi dispiace, un’Italia così non merita persone perbene a guidarla.

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