Da un lato la ministra Paola De Micheli che festeggia lo sblocco di “17 miliardi di cantieri grazie alla volontà politica”. Dall’altro i costruttori riuniti nell’Ance che, pur avendo sempre chiesto di sveltire le procedure, bocciano il decreto Semplificazioni. Lamentando che “è la deregulation più totale: non si vede più un bando di gara, abbiamo esploso il concetto di procedura negoziata da zero ad infinito”. Il convegno ‘Perché in Italia le opere pubbliche sono ferme?‘ organizzato da Conferenza delle Regioni, Confindustria e Ance si trasforma in un nuovo round sull’efficacia del provvedimento che stando agli auspici del governo avrebbe dovuto risolvere l’annoso problema delle opere ferme causa burocrazia o “paura della firma”.

Il governo ha inviato solo il 4 dicembre alle Camere l’elenco di circa 50 opere che intende commissariare in base a quanto previsto dal decreto Semplificazioni per metterle su una “corsia veloce” con regole snelle come quelle utilizzate per la ricostruzione del ponte di Genova. Dentro ci sono strade, opere ferroviarie, trasporto pubblico locale, porti e caserme: dalla Strada Statale 106 Jonica alla E78 Grosseto-Fano, dalla linea ferroviaria Av/Ac Brescia-Verona-Padova alla linea C della Metro di Roma. I commissari sono ovviamente ancora da individuare per cui su quel fronte nessuno “sblocco” è ancora avvenuto. De Micheli però rivendica che in 14 mesi di governo sono ripartiti “17 miliardi di cantieri per volontà politica”, nel senso che “non c’era nessun atto amministrativo che fosse insormontabile” e “non è tutta colpa della burocrazia, del problema delle autorizzazioni o delle firme, anche se c’è questo problema altrimenti non saremo arrivati a fare il dl semplificazioni”.

Decreto che però secondo i costruttori non ha fatto che complicare le cose. Come è possibile? Il vicepresidente Ance, Edoardo Bianchi, ha ricordato che “Noi stiamo viaggiando al ritmo di uno sblocca cantieri l’anno. Il penultimo è del governo giallo-verde, il semplificazioni è un altro sblocca cantieri”. Ma “in realtà tutte queste scorciatoie che abbiamo seguito non hanno portato da nessuna parte, ma hanno vieppiù ingarbugliato ulteriormente la matassa e non c’è possibilità di uscirne con provvedimenti straordinari. E’ possibile un paese di commissari? Serve una normativa semplice che possa esistere e permanere per qualche periodo”. Una richiesta condivisa dal presidente dell’Anac Giuseppe Busia, che ha spiegato: “Avere a che fare con continue modifiche normative non facilita il lavoro delle stazioni appaltanti. Quello che crediamo sarebbe più opportuno è cercare di stabilizzare il sistema perché anche sulla stabilizzazione normativa del sistema si può costruire una programmazione sia dalla parte pubblica che da quella privata”.

Invece “il decreto Semplificazioni è la deregulation più totale: non si vede più un bando di gara, abbiamo esploso il concetto di procedura negoziata da zero ad infinito. Ma il mondo delle imprese è contrario. Non può essere la procedura negoziata per tutto, non c’è più pubblicità, non può essere solo ex post, ma è essenziale la pubblicità ex ante”, cioè l’informazione alle aziende che c’è l’opportunità di partecipare a una gara. Se la gara non si fa – il nuovo decreto consente di derogare al Codice appalti procedendo per affidamento diretto (fino a 150mila euro) o procedura negoziata invitando al negoziato un numero ristretto di imprese – quell’informazione viene mancare. L’Ance ha ottenuto che ne sia data almeno pubblicità sul sito dell’ente.

In ogni caso resta irrisolto il problema dei cosiddetti tempi di attraversamento, quelli che passano in attesa di autorizzazioni e passaggi burocratici, una fase che non ha nulla a che vedere con l’aggiudicazione dei lavori. “Nel grosso delle modifiche normative cui abbiamo assistito”, ha ricordato a questo proposito Busia, “l’attenzione è stata concentrata nella fase di gara, mentre sono fondamentali la parte di programmazione e progettazione per garantire le successive fasi. Quello che servirebbe sarebbe una stabilizzazione delle disposizioni normative e la concentrazione dell’attenzione molto nella fase di preparazione di quello che saranno le opere, perché la gara in quanto tale non è l’elemento che allunga di più, è la fase di esecuzione dove i tempi sono più ampi, soprattutto in Italia”. Due le ricette indicate dal presidente dell’Anac: “Reale qualificazione delle stazioni appaltanti, che significa aumentare la qualità amministrativa; ma anche rafforzamento delle centrali di committenza”.

“Da oltre venti anni il mercato dei lavori pubblici è afflitto da una schizoide ipertrofia normativa e da una progressiva carenza di risorse”, ha concluso Bianchi, “perché destinate prioritariamente a favore della spesa corrente. In tutto il settore vige una presunzione di colpevolezza che ha definitivamente bloccato ogni cosa. Serve chiarezza sulla centralità, per ora solo a parole, delle infrastrutture per rilanciare il Paese”.

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