Una serata di gala tutta particolare, quella di oggi alla Scala. Potremmo ribaltare però l’infausto annuncio della chiusura al pubblico in presenza dell’amatissimo “tempio della lirica” milanese con un “Aperto per Covid”: aperto per il mondo.

Il teatro sfonda non la “quarta” ma una sorta di “quinta” parete e va in mondovisione su Rai1 per testimoniare l’indomito coraggio del teatro di non cedere di fronte alla pandemia che sta mettendo in ginocchio economie, stati, famiglie, persone e anche il mondo dello spettacolo e della cultura.

Non ci sarà l’attesa Lucia di Lammermoor in cartellone ma una serata, “A riveder le stelle”, a inaugurare la stagione scaligera nell’anno centenario dantesco. Una sfilata di talenti e competenze che si sviluppano e muovono nel teatro milanese, uno dei centri musicali e teatrali di eccellenza mondiale.

E così 23 stelle del canto lirico, di casa nel teatro milanese, poi Roberto Bolle e il balletto scaligero e Chailly e l’orchestra e il coro del teatro, più un folto gruppo di attori, il tutto con la regia di Davide Livermore faranno da vetrina, in diretta Rai, ad un mondo, quello dell’arte lirica, del teatro di danza e di prosa, tra i più colpiti dalla crisi dovuta al Covid-19.

Crisi per gli artisti che vi operano e anche del pubblico che ne fruisce, che è abituato a trarre piacere e strumenti di riflessione dalla musica, dall’arte teatrale e performativa. Un teatro senza pubblico in sala sembra adempiere a un sogno che Carmelo Bene aveva scherzosamente e polemicamente enunciato in un celebre confronto televisivo tanti anni fa: si parla con le voci di dentro in un teatro vuoto. Riccardo Chailly invece si è detto in difficoltà, come forse è normale: un uomo di teatro scambia con il pubblico invisibili energie e la sala, si sa, influenza con la sua (non sempre) muta presenza l’esito di tante serate.

Eppure è un modo per raggiungere un pubblico ancora più vasto, che forse non ha messo e non metterebbe piede alla Scala in tutta la sua vita; è un modo anche per far vedere di cosa è capace il teatro, per dare linfa e slancio a un mondo, quello dell’opera specialmente, che in Italia era stato assai popolare e che ora è diventato appannaggio di un defilato manipolo di adepti.

Del resto si dice sempre così quando il teatro e la lirica vanno in televisione nelle sedi maggiori, come Rai1, o almeno questa è la speranza; anche se gli indici di vendita dei biglietti, le sale, le vendite di prodotti musicali registrati ci dicono che il pubblico è rimasto sostanzialmente lo stesso e invecchia di anno in anno, senza grosso ricambio generazionale. Finis Operae? Può darsi, ma si può sempre, e si deve, provare a far partecipare un Paese che ha una storia culturale insigne ad una sorta di liturgia che possa renderlo consapevole del proprio passato: dopotutto anche questo è uno degli aspetti della cultura.

E non ultimo c’è l’aspetto economico: la tv che proietta La Scala mostra negli altri paesi (europei e non che trasmetteranno l’evento) proprio quella cultura che celebriamo il 7 dicembre e il Paese da cui è originata. Opera, balletto sotto il segno di padre Dante nell’anno delle celebrazioni del settecentesimo anniversario della morte saranno come una sorta di vetrina della migliore Italia, perché questo 2020 iniziato nel peggiore dei modi possa finire su note di speranza e di rinascita.

Articolo Precedente

Prima della Scala: “L’opera? Come le serie tv. Su Rigoletto la D’Urso avrebbe fatto uno speciale”. Antoniozzi e la sua visione pop della lirica

next