Il 39,9% delle morti verificatesi per Covid in Italia dall’inizio della pandemia è avvenuta in Lombardia. Ma le differenze tra la prima e la seconda ondata sono evidenti: se infatti nel periodo marzo-maggio un decesso su 5 è avvenuto in Lombardia e oltre l’85% solo nel Nord Italia (Emilia-Romagna compresa), durante i mesi autunnali (ottobre-novembre) la distribuzione si è allargata a tutta la Penisola, coinvolgendo anche il Centro-Sud e in particolare due Regioni: la Campania – passata da 477 (1,4%) a 1621 morti (8,3%) – e la Sicilia, che ha avuto 906 decessi in più in autunno rispetto alla primavera, passando dallo 0,9% al 6,2% del totale dei morti in Italia.

Sono i dati che emergono dall’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi al coronavirus in Italia, basato sui dati aggiornati al 2 dicembre e che descrive le caratteristiche di 55.824 pazienti. A livello nazionale, l’età media dei deceduti è 80 anni mentre solo l’1,2%, ovvero 657, era under 50. Il 97% dei deceduti aveva malattie precedenti e tra queste la più frequente è l’ipertensione arteriosa. Diabete di tipo 2 e cardiopatia ischemica sono le altre patologie osservate più frequentemente. I sintomi più frequenti accusati dai positivi che sono poi deceduti restano febbre e difficoltà respiratoria. Il tempo mediano tra l’insorgenza dei sintomi e la morte è di 12 giorni. Nel 53,3% dei casi i deceduti sono arrivati in ospedale da casa.

I dati delle Regioni e il confronto tra prima e seconda ondata
Il report dell’Iss riporta la distribuzione geografica dei decessi, secondo i tre periodi dall’inizio della pandemia nel 2020: il periodo iniziale (marzo-maggio), il secondo periodo (giugno-settembre) e il terzo (ottobre-dicembre), anche se quest’ultimo è ancora in corso. Dalla tabella emerge come se la prima ondata primaverile ha riguardato soprattutto il Nord e in particolare la Lombardia, con la seconda ondata in autunno il Covid ha causato numerosi morti in tutta Italia. Da marzo a maggio oltre l’85% dei decessi era avvenuto nel Nord Italia (Emilia-Romagna compresa). Da ottobre al 2 dicembre invece la percentuale di morti sul totale nazionale ha superato il 40% nelle Regioni del Centro-Sud. La maggior parte dei decessi rimane quindi concentrata nella parte settentrionale della penisola, ma non c’è più la sproporzione che si era verificata in Primavera. Dopo la Lombardia, (22.252) La seconda regione per numero di decessi è l’Emilia Romagna con 5.805 (10,4% del totale), seguita da Piemonte 5556 (10%), Veneto 3899 (7%), Lazio 2525 (4,5%) e Liguria 2419 (4,3%).

L’età dei deceduti – L’età media dei morti è 80 anni ed è andata sostanzialmente aumentando fino agli 85 anni toccati durante la prima settimana di luglio, per poi tornare calare. I pazienti deceduti inoltre hanno un’età mediana più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 82 anni – pazienti con infezione 48 anni). Le donne decedute (il 42,3% del totale) hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediane: donne 85 – uomini 80). Al 2 dicembre invece sono 657 (1,2%) i pazienti deceduti di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 163 di questi avevano meno di 40 anni (102 uomini e 61 donne con età compresa tra 0 e 39 anni). Di 29 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche. Degli altri pazienti, 119 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 15 invece non avevano diagnosticate patologie di rilievo.

Le patologie preesistenti – In media le persone morte dopo avere contratto il Covid, secondo l’analisi dell’Iss basata su 5726 deceduti, avevano 3,6 malattie preesistenti e diagnosticate. Complessivamente, il 3,1% dei pazienti analizzati non presentavano patologie, il 12,4% presentava una patologia, il 18,5% presentava due patologie e il 65,9% presentava tre o più patologie. Tra queste la più frequente è l’ipertensione arteriosa. Diabete di tipo 2 e cardiopatia ischemica sono le altre patologie osservate più frequentemente, seguite da fibrillazione atriale, demenza e insufficienza renale cronica.

Diagnosi, sintomi e terapie – Nel 90,8% delle diagnosi di ricovero erano menzionate condizioni (per esempio polmonite, insufficienza respiratoria) o sintomi (per esempio, febbre, dispnea, tosse) compatibili con il coronavirus. Nel 9,2% dei casi la diagnosi di ricovero non era da correlarsi all’infezione. I sintomi più comunemente osservati prima del ricovero nei pazienti deceduti sono nell’ordine dispnea, febbre e tosse, meno comuni sono diarrea e emottisi. L’8,1% delle persone non presentava alcun sintomo al momento del ricovero. L’insufficienza respiratoria è stata invece la complicanza più comunemente osservata nel campione (94,1% dei casi), seguita da danno renale acuto (23,6%), sovrainfezione (19,3%) e danno miocardico acuto (10,8%). La terapia antibiotica è stata comunemente utilizzata nel corso del ricovero (85,9% dei casi), meno utilizzata quella antivirale (50,2%), più raramente la terapia steroidea (49,8%). Il comune utilizzo di terapia antibiotica, spiega l’Iss, può essere spiegato dalla presenza di sovrainfezioni o è compatibile con l’inizio di una terapia empirica in pazienti con polmonite, in attesa di conferma di un tampone positivo. Estremamente diverso, evidenzia sempre il rapporti, l’uso dei farmaci nei tre periodi considerati, con una netta riduzione nell’utilizzo degli antivirali e un aumento nell’uso degli steroidi da giugno in poi.

Dai sintomi al decesso: i tempi – Il tempo mediano che trascorre dall’insorgenza dei sintomi al decesso è di 12 giorni: dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale passano 5 giorni, dal ricovero al decesso altri 7 giorni. Il tempo intercorso dal ricovero in ospedale al decesso è più lungo per coloro che vengono trasferiti in rianimazione (12 giorni contro 6 giorni). L’Iss fa notare che tra il periodo marzo-maggio e l’estate praticamente raddoppia il tempo che trascorre dall’insorgenza dei sintomi al decesso, mentre torna ai livelli iniziali durante l’autunno. Inoltre, diminuisce il tempo che trascorre dall’insorgenza dei sintomi all’esecuzione del tampone sia in estate che in autunno rispetto alla prima ondata, così come il tempo tra l’insorgenza dei sintomi e il ricovero in ospedale: questi risultati, si legge nel rapporto, sembrano suggerire una maggiore reattività del sistema sanitario testimoniata dalla maggiore rapidità nell’esecuzione di esami diagnostici e nell’ospedalizzazione. Infine, l’Iss evidenzia che la maggior parte dei pazienti deceduti proveniva dal proprio domicilio (53,3%). Il 22,9% proveniva invece da strutture residenziali socio-sanitarie o socio-assistenziali (Rsa, casa di riposo, hospice, reparti o strutture di lungo degenza). Il 18,6% era stato trasferito da un altro ospedale e il 5,2% da altre strutture non specificate.

Articolo Precedente

Coronavirus, i dati – 13.720 i nuovi positivi con 111mila tamponi: tasso di positività aumenta per il secondo giorno consecutivo. 528 i morti

next
Articolo Successivo

Il caso degli infermieri militari non iscritti all’ordine di categoria. I sindacati: “Devono avere gli stessi diritti degli altri”

next