I negoziati sulla Brexit si aggiornano ancora, con la palla che passa dai tecnici ai politici e viceversa e il futuro delle relazioni commerciali tra Bruxelles e Londra è ancora tutto da scrivere, ma Boris Johnson e Ursula von der Leyen hanno deciso che i negoziatori devono rimettersi al lavoro già domenica 6 dicembre, provando a fare progressi in vista del vertice europeo di giovedì e venerdì, ultima chance per avere un’indicazione che scongiuri il no deal di fine anno.

Anche se i leader non negoziano direttamente lasciando tutto nelle mani della Commissione, da qualche giorno, da più di una capitale, si levano timori per un accordo troppo favorevole al Regno Unito e che possa danneggiare l’immagine dell’Ue. Parigi, ad esempio, ha già detto esplicitamente che non voterà un’intesa a tutti costi, ma che ne valuterà i contenuti.

La minaccia, se ripetuta durante il vertice europeo, potrebbe modificare i rapporti di forza in favore del contienente, spingendo Johnson ad affrontare da solo l’incertezza di una hard Brexit, cioè un’uscita dal mercato unico senza accordo quando, il 31 dicembre, scadrà il periodo di transizione.

Il tempo stringe e una soluzione ancora non si vede all’orizzonte. Tanto che fonti di Downing Street fanno trapelare che le possibilità di raggiungere un accordo tra Londra e i 27 non sono più alte del 50 per cento. Una soglia piuttosto bassa, considerati i molti mesi di negoziati alle spalle.

“Manteniamo la calma, come sempre, e se c’è ancora una strada lo vedremo”, ha detto il capo negoziatore Ue Michel Barnier lasciando Londra sabato mattina dopo la settimana di negoziati inconcludenti. Dal canto suo la presidente von der Leyen a valle di una telefonata con Johnson ha spiegato che restano “differenze significative su tre questioni critiche”.

La prima è la parità di condizioni, o level playing field, ossia l’allineamento che Bruxelles vorrebbe da Londra sugli aiuti di Stato e su norme come quelle relative alle tutele ambientali o ai diritti dei lavoratori a garanzia d’una futura concorrenza leale. La seconda questione è la pesca, con la definizione dello sfruttamento delle acque tra Gran Bretagna, Francia e Danimarca. La terza è la governance, cioè a quale a organismo giuridico demandare le dispute future.

“Entrambe le parti hanno sottolineato che nessun accordo è fattibile se questi problemi non vengono risolti”, ha detto von der Leyen, confermando di fatto che la questione è di principio e non di sostanza. Gli ostacoli rimasti riguardano solo una piccola parte di un testo che per il resto è già chiuso.

Ma Johnson non può cedere su nessun dettaglio che abbia a che fare con l’affermazione della sovranità di Londra, perché rischierebbe di far passare in patria il messaggio di una Brexit tradita. Da parte sua anche l’Unione europea, al di là degli interessi dei pescatori francesi e danesi, non ha intenzione di fare ulteriori concessioni e rendere la vita troppo semplice ad un Paese che ha deciso di uscire e a cui guarderà chi volesse intraprendere la stessa strada. Il negoziato quindi prosegue, anche se potrebbe essere solo un modo per prolungare la guerra di nervi fino a giovedì.

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