di Riccardo Cristiano*

C’è un problema di oggettività su papa Francesco? Sembra proprio di sì. Per valutare può essere utile considerare che, sulla base di alcune anticipazioni, si è scritto e detto che il papa, nel suo nuovo libro Ritorniamo a sognare, si dice vicino ai popoli perseguitati a cui pensa riferendosi ai rohingya, agli yazidi e agli uiguri, ma non ai cristiani perseguitati. Ora però il libro è uscito e, visto che nella stessa frase il papa parla anche dei cristiani uccisi da attentati mentre pregano in Egitto e in Pakistan, viene da chiedersi come mai non si sia dato conto della realtà dei fatti, diversa dalle suddette illazioni.

Si è contemporaneamente detto che questo sarebbe un papa comunista, perché mette in discussione la proprietà privata. Anche qui un dato c’è, visto che Bergoglio nell’enciclica Fratelli tutti ha scritto: “Nei primi secoli della fede cristiana, diversi sapienti hanno sviluppato un senso universale nella loro riflessione sulla destinazione comune dei beni creati. […] Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica”.

Ma questa è una novità? Forse negli ultimi pontificati, spesso contrapposti dai più critici al suo, soprattutto quelli di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, le cose non stavano così? Basta prendere il catechismo della Chiesa cattolica per vedere che le cose non sono diverse, visto che il testo del catechismo varato in epoca ratzingeriana recita: “Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina l’originaria donazione della terra all’insieme dell’umanità. La destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio. L’uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 69]. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza, per farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti” . Se questo è il catechismo, come può accadere che questo papa venga presentato come un sovvertitore della dottrina?

Come spiegarsi dunque tante teorie sul “papa comunista”? La prima spiegazione che viene in mente è questa: Bergoglio è portatore, rispetto ai suoi predecessori, di un cambio di dosi nel cocktail vaticano: non più nove di etica sessuale e una di dottrina sociale, ma nove di dottrina sociale e una di etica sessuale… E così anche certi “devoti” sono costretti a sentire quel che non vorrebbero.

Invece dovremmo fare i conti con quel che emerge davvero di nuovo e rilevante per tutti. Nel volume appena pubblicato non si è notato che egli afferma testualmente: “Dobbiamo andare oltre l’idea che il lavoro di chi bada a un familiare, o di una madre a tempo pieno, o di un volontario in un progetto sociale che assiste centinaia di bambini non sia un vero lavoro perché non riceve un salario. Una componente vitale del nostro ripensamento del mondo post-Covid sta nel riconoscere il valore, per la società, del lavoro, dei lavori non remunerati. Ecco perché credo che sia tempo di esplorare concetti come la Retribuzione universale di base, nota anche come imposta negativa sul reddito: una retribuzione fissa e incondizionata a tutti i cittadini, che si potrebbe distribuire attraverso il sistema fiscale. La Retribuzione universale di base ridefinirebbe le relazioni nel mercato del lavoro, garantendo alle persone la dignità di rifiutare condizioni lavorative che le inchiodino alla povertà. Darebbe alle persone la sicurezza basilare di cui hanno bisogno, cancellerebbe lo stigma dell’assistenzialismo e renderebbe più facile passare da un impiego all’altro, come sempre più richiedono gli imperativi tecnologici nel mondo del lavoro. Politiche come quella della Retribuzione universale di base aiutano le persone anche a combinare le attività remunerative con il tempo riservato alla comunità. Con lo stesso obiettivo, è forse giunto il momento di considerare una riduzione dell’orario di lavoro, con adeguamenti dei salari, che paradossalmente potrebbero accrescere la produttività. Quello che porta a lavorare di meno per consentire a più persone di accedere al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare: farlo è piuttosto urgente”.

La pandemia cambia il mondo e allora, come dice il titolo di questo libro, occorre “ritornare a sognare”, perché nessuno si salva da solo. I sogni possono diventare realtà, se si vuole, come dimostra la storia dell’umanità. Mentre continuare a suonare vecchie canzoni tutto fa fuorché aiutare.

* Vaticanista di RESET, rivista per il dialogo

Articolo Precedente

Parlare di mascolinità ‘tossica’ allontana chi si dovrebbe sensibilizzare. Per questo è sbagliato

next
Articolo Successivo

Coronavirus, ha ragione Crisanti: un Paese senza rispetto dei suoi morti non è un Paese normale

next