Una settimana prima di morire Maradona era caduto sbattendo la testa sul lato destro, non quello interessato dall’operazione effettuata dal chirurgo e medico personale Leopoldo Luque per rimuovere l’edema cerebrale. Ma nonostante la caduta, nessuno lo portò in ospedale o decise di sottoporlo a esami per verificare le sue condizioni. Le nuove rivelazioni sulla morte del Diez arrivano da Rodolfo Baqué, avvocato di Gisela Madrid, l’infermiera entrata in turno alle 7.30 del 25 novembre, poche ore prima del decesso. La donna ha dichiarato alla procuratrice Laura Capra di averlo “sentito muoversi all’interno della stanza alle 7:30” ma di non essere entrata. Nonostante questo, ha detto, è stata costretta a scrivere in un rapporto che quella mattina aveva controllato il paziente, quando in realtà l’aveva lasciato riposare.

Le rivelazioni arrivano all’indomani delle perquisizioni effettuate nello studio e nell’appartamento di Luque, che risulta indagato per omicidio colposo. Il medico, accusato di essere stato negligente, ha dichiarato in conferenza stampa che Maradona era un “paziente ingestibile” e che “sarebbe dovuto andare in un centro di riabilitazione” ma “non voleva”. Luque ha poi spiegato di non sapere perché non ci fosse il defibrillatore da usare in caso di crisi cardiaca nella casa di Maradona e ha chiarito che l’assistenza domiciliare non era sua responsabilità. Un punto sul quale però lo attacca la psichiatra del campione, Agustina Cosachov: per il paziente, ha dichiarato, aveva richiesto un’assistenza specialistica che però Luque non ha predisposto.

L’alcol, gli psicofarmaci e le avvisaglie sottovalutate – “Maradona non era in condizioni di decidere“, ha dichiarato Baqué in relazione alla sua caduta, ricordando che rimaneva “fino a tre giorni chiuso dentro la sua stanza”. L’avvocato, si legge sulla Nacion, ha riferito che Madrid ha incontrato Maradona soltanto il primo giorno in cui era entrata in servizio, cioè venerdì 20 novembre: dopo non ebbe più contatto diretto con lui, né tanto meno gli rilevò più i parametri vitali. “Consegnava gli psicofarmaci all’assistente di Maradona e, rimanendo sulla porta, si assicurava che gli venissero dati”, ha continuato l’avvocato, ricordando che la sua cliente, prima che l’ex calciatore morisse, lo aveva sentito alzarsi dal letto per andare verso il bagno chimico allestito nella sua stanza.

Nella casa di Tigre, dove Maradona stava trascorrendo la convalescenza, non c’erano “né un medico né un cardiologo”, soltanto le figlie e la psichiatra, che si concentrava nella cura contro la dipendenza dall’alcol. Tutte le attenzioni erano concentrate su questo punto, ha detto Baqué, mentre venivano completamente trascurati i suoi problemi cardiaci. “L’infermiere del turno di notte gli prese i parametri vitali: Maradona era arrivato ad avere una frequenza cardiaca di 115 battiti al minuto, che nel giorno del decesso era di 109“. Le avvisaglie del corpo erano chiare secondo l’avvocato, ma el Diez “non venne curato, neanche con delle pillole“. “Se non fosse stato lì ma in una clinica – conclude Baqué – sarebbe vivo. Sentendo che la frequenza cardiaca aumentava, sarebbero arrivati in tempo”.

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