Alla riapertura dei comprensori sciistici in Italia – dopo che anche Val Senales ha chiuso i battenti, e pochi atleti professionisti sono soli sulle piste di Cervinia – lavora alacremente anche una sorta di ‘comitato permanente digitale’ tra gli assessori competenti delle regioni alpine. Insieme mirano a farsi approvare dal governo un protocollo di sicurezza complesso, in attesa, addirittura, di veder sbloccato il nodo degli spostamenti almeno tra le regioni italiane, dato che a livello internazionale nulla possono, per esempio, rispetto a una Germania dove la Merkel prevede ancora 5-6 mesi d’emergenza e per ora ha vietato tassativamente di muoversi per turismo ai suoi cittadini.

Sembra saltato il tradizionale calendario di preparazione degli impianti e delle piste per le aperture a dicembre, anche se non mancano segnali contraddittori: in val Gardena, intaccata pesantemente dalla prima ondata, hanno appena ultimato la traccia di una nuova pista nera, con lavori per 600 milioni, dopo che quest’estate la val Badia aveva raddoppiato il bacino per l’innevamento, mentre a Cortina procedono le grandi opere di sventramento e costruzione di nuovi collegamenti.

Alcuni non detti di notevole peso consentono ai sostenitori del distrut-turismo a oltranza di fare lo slalom tra i problemi saltando qualche porta, con curve quasi da negazionisti. Ma è sufficiente uno sguardo al caso austriaco per mettere a fuoco almeno due questioni davvero delicate: riguardano i costi economici pubblici, sempre più alti nel caso di possibili risarcimenti legali a chi dimostri d’essersi infettato in vacanza sugli sci, e le politiche sociali relative all’immigrazione, dato che arriva stagionalmente dall’estero una sempre più cospicua fetta (22-25% si calcola) dei lavoratori necessari.

L’Austria è uno dei Paesi leader dell’industria del turismo invernale, vanta 7mila 200 km di piste in 435 comprensori sciistici, di cui 9 su ghiacciai, e ha vissuto in pieno l’emergenza del Covid-19 con la ben nota vicenda relativa a Ischgl. Ancora oggi, il sito ufficiale del turismo austriaco austria.info/it presenta con il titolo inequivocabile “L’Ibiza delle Alpi” gli atout del carosello bianco di Ischgl, arcinoto per le piste della Silvettra Arena e per l’après-ski: “Un rito che è nato proprio qui per essere poi imitato in tutte le Alpi. Ecco perché, dopo lo sci, per tutto l’inverno centinaia di persone si accalcano a ballare ancora con gli scarponi ai piedi, per poi proseguire fino a notte fonda nelle discoteche di tendenza”. Sic. Tra fine febbraio e l’inizio di marzo, del comprensorio Paznaun Ischgl è esploso un picco di contagi che si è subito esteso dalla Germania all’Islanda.

Lo stop sanitario alla stagione primaverile scorsa, è già costato 650mila euro di perdite all’Associazione turistica locale, e il governo austriaco si è precipitato a garantire nuovi finanziamenti di 2 milioni e mezzo alla Tourismusverband Paznaun Ischgl, anche per rilanciare l’immagine e preparare adeguatamente impianti e strutture ricettive all’auspicata nuova era post-covidica. Ma incombe una ‘class action’ del movimento dei consumatori austriaci sul ritardo colposo nella chiusura degli impianti e della località, con richieste di risarcimento molto ponderose, cui hanno aderito più di duemila sciatori, tra cui molti tedeschi, tornati da Ischgl con il Covid.

Foto: l’avvocato Alexander Klauser e il presidente dell’associazione per la tutela dei consumatori Peter Kolba annunciano una causa collettiva contro le autorità regionali del Tirolo per inadempienza ai loro doveri di salute pubblica, in seguito all’epidemia di coronavirus nella stazione sciistica di Ischgl – 23 settembre 2020 (AP Photo / Ronald Zak)

L’ente sanitario austriaco AGES ha fatto addirittura trapelare la notizia – smentita nell’arco di poche ore – che un’accurata analisi del cosiddetto ‘Cluster S Ischgl’, avrebbe identificato il paziente zero in una cameriera svizzera (e non, come si era detto, nel barista austriaco di un locale tra i più frequentati per il dopo-sci, il Kitzloch). Indicazione alquanto maliziosa, dato che sul Silvretta si collegano direttamente gli impianti svizzeri del comprensorio di Samnaun in Bassa Engadina. In Italia non sembra aver provocato cause del genere l’ostinazione con cui hanno voluto tenere aperti fino all’ultimo comprensori di zone ad altissimo contagio, come Foppolo in val Brembana (tanto poi ha dichiarato fallimento e ancora non si sa bene con quale imprenditore riaprirà).

L’altra questione delicatissima è stata messa bene a fuoco, in un’intervista con il portale dell’informazione regionale meinbezirk.at, dal presidente della TVB Paznaun Ischgl, Alexander von der Thannen: “Partiamo dal presupposto che il maggior rischio d’infezione provenga dai nostri dipendenti, che sono circa tremila e 800 solo nella valle e devono essere testati prima di entrare in contatto con gli ospiti. Al momento non è nemmeno prevedibile se i dipendenti dall’Europa orientale potranno venire, anzi, per esempio, dalla Repubblica Ceca è vietato”. Un analogo problema per l’agricoltura in Alto Adige, dopo la difficile estate che ha visto gli albergatori lamentare la carenza di manodopera soprattutto dell’Est Europa, era stato risolto con l’invenzione della ‘quarantena fiduciaria al lavoro’: così il consueto stuolo di contadine romene ha potuto eseguire comunque la raccolta dell’uva e delle mele.

Al di là delle considerazioni morali, rinchiudere i raccoglitori di frutta migranti nel luogo di lavoro per quindici giorni, se provengono da Paesi interdetti a causa della pandemia, non sembra che sia servito a contenere il Covid nella provincia di Bolzano, tra le più colpite dalla seconda ondata. Insomma, non c’è nessun protocollo di sicurezza che oggi possa affrontare tutte queste criticità, e che un bilancio pubblico debba accollarsi i rischi connessi è tutto da dimostrare.

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