Quasi inaspettata, è arrivata la notizia del vaccino anti coronavirus ormai in fase 3 allo studio della Pfizer in collaborazione con la Biontech. È il passaggio che precede la commercializzazione di un farmaco in attesa dell’autorizzazione che deve essere rilasciata dall’Ema per l’Europa e dalla Fda per gli Usa. Addirittura, qualcuno ha azzardato che il vaccino potrebbe essere già disponibile da metà gennaio. La condizione per la commercializzazione è naturalmente il via libera delle agenzie del farmaco che stanno analizzando i dati. L’Unione Europea ha prenotato alla Pfizer 300 milioni di dosi, di cui circa 40 milioni sono destinate all’Italia. Gli entusiasmi di queste ore si sovrappongono però ad alcuni interrogativi.

Fino a oggi si sapeva, e si è spesso dichiarato negli ambienti scientifici, che per arrivare a un vaccino pronto alla somministrazione sulla popolazione occorre attendere circa 18 mesi dall’inizio della sperimentazione. Con il vaccino della Pfizer siamo di fronte a una forte riduzione di questa tempistica. Come si è riusciti? “Si parte dal presupposto che la sicurezza dei pazienti è fondamentale”, precisano dalla Pfizer a IlFattoQuotidiano.it, “le persone hanno tutto il diritto di richiedere e aspettarsi un’offerta terapeutica di totale sicurezza, come la trasparenza del lavoro scientifico svolto per cercare di sviluppare un vaccino sicuro ed efficace per combattere Covid 19. D’altro canto, gli organismi di regolazione dei farmaci fissano standard elevati”. L’urgenza della situazione non può mettere a repentaglio o compromettere gli elevati standard già in vigore, concepiti per garantire la qualità e la sicurezza dei vaccini o di tutti i farmaci. Resta il fatto che i tempi sono stati decisamente accorciati. La chiave di volta è che siamo di fronte al primo vaccino basato sulla tecnologia dell’mRna, la molecola che serve alla produzione della proteina spike di Sars Cov 2 che permette al virus di infettare le cellule umane. “I vaccini mRNA BNT162 mRNA funzionano trasmettendo istruzioni genetiche alle cellule per rendere gli antigeni della proteina spike specifici per il virus”, spiegano sempre alla Pfizer. “Una volta che l’mRNA in un vaccino è all’interno delle cellule del corpo, le cellule seguono le istruzioni per produrre le proteine o gli antigeni, che possono poi essere visualizzati sulla superficie cellulare e riconosciuti dal sistema immunitario dell’individuo vaccinato, che genera una risposta immunitaria all’antigene del vaccino”. È di fatto una metodica che ha consentito di ridurre i tempi di produzione.

Fin qui sembra filare tutto bene. Si profila però un possibile intoppo sulla gestione di questo speciale vaccino che ama temperature polari. Deve essere infatti conservato a -75°C. L’Italia, come ha sottolineato in queste ore il farmacologo Silvio Garattini, dal punto di vista organizzativo, non sembra preparata a questo scenario. Da Pfizer però rassicurano: “Abbiamo sviluppato piani logistici dettagliati e strumenti per supportare il trasporto efficace del vaccino, la conservazione e il monitoraggio continuo della temperatura. In particolare, la loro distribuzione è costruita su un sistema flessibile con tempistiche esatte, che spedirà le fiale congelate fino al punto di vaccinazione”.

Altro passaggio da chiarire. In genere i vaccini hanno meno efficacia sugli anziani perché presentano meno risposte immunitarie rispetto ai giovani. Un elemento chiave è allora conoscere il numero di anziani testati, e quanti con patologie gravi. Su questo, Pfizer ci ha comunicato che “I partecipanti iscritti allo studio clinico di fase 3 hanno un’età variabile tra i 16 e gli 85 anni e provengono da diverse etnie. Attualmente, sono stati iscritti oltre 43.000 partecipanti e il 41% ha un’età compresa tra i 56 e gli 85 anni. Il nostro trial includerà persone con HIV cronico, stabile e con infezione da epatite B/C”.

Un dubbio che assale e che spesso viene utilizzato come argomento “contro” è se il vaccino è efficace anche di fronte a una possibile mutazione genetica del coronavirus. Dubbio che sembra dissolversi proprio per la tecnica utilizzata con la base mRNA. In altre parole, questa tecnica si adatta a una risposta pandemica a più livelli. “La tecnologia mRNA consente al vaccino di adattarsi rapidamente a potenziali mutazioni del virus. Dal punto di vista della sicurezza, a differenza di alcuni vaccini convenzionali, i vaccini a base mRNA non sono infettivi e non è necessario un vettore virale per inocularli.”, sottolineano sempre dalla Pfizer. “Per questa ragione, i vaccini a mRNA non presentano alcun rischio di risposta anticorpale neutralizzante nei confronti del vettore, consentendo così un potenziamento ripetuto, cosa che si rivelerà cruciale nel caso in cui in futuro dovessero essere raccomandati dei richiami della vaccinazione”.

E infine c’è il fronte dei costi. Pfizer e Biontech stanno lavorando a stretto contatto per sviluppare questo potenziale candidato vaccino nel modo più rapido e sicuro possibile, secondo un processo decisionale che non è guidato dalla tradizionale analisi costi/benefici. “I costi non saranno esorbitanti”, assicurano dalla Pfizer, e aiuteremo i governi del mondo a utilizzare in modo diffuso il vaccino per le loro popolazioni. È importante considerare che i nostri costi di sviluppo e produzione del vaccino Covid 19 sono stati interamente autofinanziati e abbiamo già investito miliardi di dollari (e siamo pronti a continuare a sostenere tutti i costi di sviluppo e di produzione) nel tentativo di trovare una soluzione a questa pandemia”.

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