La Spagna è piombata nel caos amministrativo da quando il governo di Pedro Sánchez ha revocato il primo stato d’emergenza lo scorso 21 giugno su pressione dell’opposizione. Il premier ha avuto poco margine di manovra e si è scontrato con Madrid e le sentenze dei tribunali regionali, che hanno bocciato alcune restrizioni. Una situazione che è cambiata grazie al nuovo stato d’emergenza attivo da due settimane, che durerà fino a maggio e concede molto più potere alle Comunità autonome.
La misura non permette alle regioni di istituire il lockdown, nonostante l’obiettivo di scendere da oltre 500 casi per 100mila abitanti a 25 sia ancora lontanissimo. L’esecutivo si è limitato a imporre un coprifuoco dalle 23 alle 6, ad eccezione delle Canarie, con possibilità per le regioni di anticiparlo o posticiparlo di un’ora e di revocarlo. I presidenti delle Comunità autonome hanno nelle loro mani l’autorità per restringere la mobilità a tutto il territorio di competenza fino ad arrivare ai singoli quartieri (in Spagna si conosce come “confinamento perimetrale”) e per limitare gli assembramenti che superano le sei persone. A differenza dell’Italia, dove le regioni hanno polemizzato con il governo sulle competenze da assumere, in Spagna questo meccanismo, definito “cogoverno”, è stato accolto di buon grado dalle autonomie.
Di fronte alla inarrestabile crescita dei contagi, lo stato d’emergenza appariva come l’unica soluzione possibile: “Il governo non ha voluto applicare lo stato d’emergenza perché credeva che la legislazione esistente sui lockdown perimetrali funzionasse. Tuttavia, le sentenze dei tribunali l’hanno spinto a decidere per questa formula in quanto unico meccanismo o garanzia possibile. Questo dà copertura giuridica alle restrizioni che ogni comunità vuole applicare sul suo territorio”, afferma il politologo e professore dell’Università Carlos III di Madrid Pablo Simón. Undici regioni l’hanno richiesto per poter imporre restrizioni più celermente senza dover passare per i tribunali. Nei Paesi Baschi l’organo di giustizia regionale ha rifiutato la limitazione agli assembramenti di oltre sei persone perché lede i “diritti fondamentali”, mentre la Catalogna ha lasciato in sospeso per giorni alcune misure in attesa dell’approvazione dei giudici, poi ottenuta.
Ma il caso che ha suscitato più polemiche riguarda ancora una volta la regione di Madrid, amministrata dal Partito Popolare, principale oppositore del governo di coalizione tra Partito Socialista e Podemos. L’enorme numero di persone contagiate nella capitale (oltre 300mila dall’inizio della pandemia) ha portato il primo ministro a proporre misure più rigide, rifiutate dal Tribunale Superiore di Giustizia della Comunità. A quel punto, Sánchez ha agito unilateralmente, dopo aver atteso invano un parere da Madrid, imponendo lo stato d’emergenza il 10 ottobre. “La pazienza ha un limite. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”, ha detto il ministro della Salute, Salvador Illa.
Sebbene adesso le Comunità Autonome possano gestire autonomamente le chiusure, quasi tutte hanno scelto di limitare i movimenti. Anche in questo caso, Madrid si è distinta scegliendo un’altra formula: chiusura dei confini durante il ponte di Ognissanti, riapertura durante la settimana e nuova chiusura da venerdì a ieri per impedire gli spostamenti per la festa dell’Almudena, protettrice della città. Per adottare questa soluzione, è stata modificata la norma che prevede una durata minima di 7 giorni per la restrizione.
Le Asturie, la Castiglia e León, i Paesi Baschi e le città autonome di Ceuta e Melilla hanno già richiesto di tornare all’isolamento domiciliare, ma per il momento Illa ha fatto sapere che l’esecutivo non contempla questa possibilità: prima hanno intenzione di aspettare gli effetti delle misure prese finora. In ogni caso, Simón crede che, se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente, le Comunità Autonome continueranno a essere protagoniste: “È possibile che si ricorra a un lockdown più severo e questo richiederebbe un nuovo stato d’emergenza, un nuovo decreto, una nuova discussione nel Congresso, ma credo che si manterranno le regioni come principale organo decisionale”.
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