Non siamo ancora alla certezza, ma manca poco. Sulla Luna c’è acqua nella sua forma molecolare canonica: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno.

Permettetemi di presentarvi Sofia – Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy. Nonostante il dolce nome femminile, si tratta di un telescopio di 2,3 metri che lavora nell’infrarosso. Mettetelo a bordo di un Boing 747 opportunamente modificato e fatelo volare fra i 28 mila (8,5 chilometri) e i 45 mila piedi di quota (13,7 chilometri), aprite il portellone e puntate il tutto verso lo spazio, sulla Luna.

Sofia vola al limite superiore della troposfera, il che permette di superare la limitazione che essa impone alle osservazioni nell’infrarosso fatte con telescopi posti nelle vicinanze del suolo. La troposfera è lo strato più basso, quello a contatto con la superficie terrestre. Si estende in altezza per 8 chilometri sui poli e fino a 20 chilometri sull’equatore. Contiene i tre quarti dell’intera massa gassosa che circonda la Terra e il 99 per cento del vapore acqueo dell’atmosfera. Il vapore acqueo blocca i segnali nell’infrarosso.

Sofia ci vola sopra. La sua strumentazione opera così in condizioni ottimali – macchine da ripresa, spettrometri (permettono di rilevare le impronte chimiche di molecole e atomi) e polarimetri (sensibili agli effetti dei campi elettromagnetici sulla polvere cosmica sopra e intorno agli oggetti celesti). Alla fine di ogni missione, della durata di una decina di ore, a differenza dei telescopi in orbita, Sofia atterra. Cosa che permette la continua messa a punto e miglioramento della strumentazione. Quindi misure sempre più precise e dubbi sollevati.

Torniamo all’acqua sulla Luna. Quando una molecola d’acqua viene colpita dalla radiazione solare, assorbe energia che ne modifica la forma. La molecola si piega e si allunga in una deformazione elastica che, tornando al suo stato iniziale, rilascia l’energia assorbita sotto forma di radiazione elettromagnetica nell’infrarosso a una particolare frequenza. Una vera e propria firma spettrale. Se viene registrata dallo spettrometro si ha la certezza che sia stata una molecola di acqua a emetterla.

Fino al 2009, data la mancanza di un’atmosfera significativa che potesse trattenerla, si assumeva che la luna fosse del tutto priva d’acqua. Convincimento che “evaporò” quando il veicolo spaziale indiano Chandrayaan-1 registra la firma dell’acqua misurando la luce riflessa dalla superficie lunare. Purtroppo le limitazioni tecniche non permettevano di sapere se si trattasse di acqua (due atomi di idrogeno e uno di acqua) oppure di idrossile (un atomo di idrogeno e uno di ossigeno). Sofia ha eliminato il dubbio: trattasi di acqua, quella vera.

Tutta l’acqua che esiste sulla Terra è di origine extraterrestre, originata secondo alcuni da materiali lasciati da asteroidi e gas rimasti dalla formazione del Sole, secondo altri dalla materia organica interplanetaria. In ogni caso è antica, forse quanto la Terra stessa: 4,4-4,6 miliardi di anni. Quando bevete un bicchiere d’acqua ricordatevelo. Non potete bere nulla di più vecchio.

Stesso meccanismo di deposizione ovunque nell’universo. Non c’è da sorprendersi che ci possa essere acqua sulla luna. Non che la luna sia una specie di spugna imbevuta. Per avere un litro d’acqua lunare occorre strizzare un paio di tonnellate di regolite lunare, la roccia che caratterizza il suolo della luna. La domanda non è perché ci sia acqua, ma come faccia ancora a esserci.

La superficie lunare è continuamente bombardata da micro meteoriti, raggi cosmici, spazzata dal vento solare. Una possibile risposta è che sia intrappolata nel vetro generato dagli impatti dei corpi celesti, grandi o piccoli che siano; oppure che piccoli cristalli di ghiaccio siano incastrati fra i grani che costituiscono la roccia stessa. Non è chiaro fino a che profondità possano essere presenti. Difficile poterci fare qualcosa se la loro presenza fosse limitata ai primi millimetri di profondità.

Altra ipotesi è che l’acqua sia congelata nelle parti della Luna sempre buie. La superficie lunare è butterata da crateri di ogni dimensione. Sono sufficientemente profondi, rispetto al diametro, da avere parti sempre in ombra che non vedono mai la luce del Sole. Regioni di buio perenne con una temperatura di meno 184 gradi centigradi. Qualunque acqua depositata in tali regioni è e sarà permanentemente solida: ghiaccio.

Utilizzando tutti i dati disponibili raccolti dal ricognitore orbitale lunare della Nasa, è stato valutato che le regioni di buio perenne interessano lo 0,15% della superficie lunare, ovvero circa 40 mila chilometri quadrati. Acqua, o meglio ghiaccio, in superficie, molto più facile da usare di quella che si sospetta sia presente in profondità. Peccato che la maggiore parte di queste trappole fredde abbiano diametri dell’ordine del centimetro.

Strizzare la Luna sarà compito non facile, ma essenziale per la realizzazione dei programmi. Vedi Artemis, missione prevista nel 2024 per fare tornare un uomo sulla luna insieme alla prima donna. Artemis è il primo passo della prossima era di esplorazioni spaziali e ha l’obiettivo a lungo termine di stabilire una presenza autosufficiente sulla Luna, avviare un’economia lunare, per poi usare la base lunare come trampolino di lancio per andare a fare un giro su Marte. Non si tratta di fantascienza. Tutte le tecnologie necessarie sono disponibili. Solo questione di tempo e di denaro.

Una base sulla luna è possibile se si possono utilizzare risorse in situ. L’acqua è fra le più importanti. Permette di produrre idrogeno e ossigeno per i motori dei razzi, di respirare, di avviare produzioni orto-frutticole. Programmi che fanno sorgere non poche domande su come utilizzare le risorse lunari in modo equo. Se l’acqua e il ghiaccio sono confinati in aree limitate e particolari, come la mettiamo con la cooperazione internazionale?

Il trattato sull’utilizzo dello spazio esterno del 1967 prevede un principio secondo il quale la Luna e altri corpi celesti possono essere utilizzati esclusivamente per scopi pacifici e nessuna nazione può rivendicarne la sovranità. Lo scorso ottobre la Nasa ha proposto gli accordi Artemis, sottoscritti da otto paesi attivi nell’esplorazione spaziale, per governare la futura esplorazione della luna e lo sfruttamento delle sue risorse.

Fra le norme di comportamento proposte: esplorazione per fini solo pacifici, trasparenza nelle operazioni svolte, condivisione di dati. Da notare che Federazione Russa esita e la Repubblica Popolare Cinese non ha firmato, giustificando la sua decisione con le attuali controversie commerciali con gli Stati Uniti. Sarà, ma sono in pochi a crederci. Grossi guai in vista.

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