Hans Rosbaud è un nome che a molti amanti della musica cosiddetta classica di ultima generazione, adusi per lo più ai grandi nomi dello star-system e al mercato discografico delle majors non dirà molto. Eppure è il nome di un autentico gigante della musica del Novecento, un sottile indagatore dei testi dei maestri della tradizione austro-tedesca e un paladino instancabile dei compositori a lui contemporanei, soprattutto. Il suo vastissimo repertorio spaziava da Rameau a Xenakis passando per il classicismo viennese, Brahms, Wagner su, su risalendo fino a Webern e Boulez (di cui fu maestro). Ebbene l’attività poliedrica che svolse fu associata per lo più a orchestre considerate ‘secondarie’: quelle radiofoniche tedesche in particolare e a quella della radio di Baden-Baden con cui più estensivamente prese a registrare il suo enorme repertorio.

Ecco, queste registrazioni stanno pian piano uscendo per l’etichetta della radio tedesca SWR in comodi box monografici. Per ora sono usciti: Beethoven, Bruckner, Mozart, Haydn, Brahms, Schumann, Wagner Mahler, Ciaikovskij e poco altro. Si aspettano ovviamente quelli dedicati alle avanguardie, il box mahleriano era già in gran parte noto attraverso varie pubblicazioni negli scorsi anni, autore a cui Rosbaud si dedicò profondamente. Incisioni, quelle mahleriane, osannate un po’ come quelle bruckneriane per la totale mancanza di pathos retorico, ammirate per la sottile mente indagatrice e per l’equilibrio orchestrale che in Rosbaud tende sempre a mettere in primo piano i fiati rispetto agli archi, vezzo un po’ modernista.

Rosbaud è stato uno tra i principali rappresentanti della restaurazione della visione ‘oggettiva’ del testo musicale, un direttore che sapeva consigliare gli orchestrali su questioni tecniche strumentali, che sapeva costruire un suono d’orchestra, che poteva dare spiegazioni minuziose di analisi testuale perché aveva un approccio quasi illuministico al testo. Un umanista che è morto leggendo un manuale di astrofisica, che parlava una quantità impressionante di lingue moderne, una mente leonardesca, curiosa di ogni aspetto dell’attività umana di cui la musica era espressione per lui precipua.

Tutti questi aspetti sono reperibili nelle sue esecuzioni che rimangono brillanti ma non estrovertite, analitiche ma mai mancanti di passione, intelligenti senza essere capziose. L’approccio ai testi contemporanei era noto agli appassionati, Agon di Stravinskij era un disco venerato o il Moses und Aaron di Schoenberg in prima esecuzione assoluta era un incunabolo da riverire ma questi box ci propongono la visione di Rosbaud del cosiddetto ‘grande repertorio’ e l’immagine del grande direttore ne esce ancora più rafforzata, il suo Beethoven asciutto e imperioso è tutto da degustare, il suo Mozart ma soprattutto il suo Haydn sono da antologia (certo, si tratta di esecuzioni ancora non toccate dall’approccio storicamente avvertito ma gradevolissime).

Tra tutte grandeggiano, nel ‘repertorione’ le incisioni brahmsiane e il disco wagneriano. Un Brahms asciutto, quasi secco, senza enfasi che forse molto sarebbe piaciuto all’autore, distante mille miglia dai suoni gonfiati e gourmet con cui in quegli stessi anni i pubblici viennesi e berlinesi venivano assaltati o più che altro titillati. Nessuna gastronomia fonica, solo il testo ridotto alla sua essenza, magnificamente. Potrebbe quasi ricordare per altezza di risultati ottenuti con orchestre cosiddette di secondo rango ciò che il grande Sergiu Celibidache ottenne con le orchestre Rai negli anni Sessanta confermando ancora una volta il suo motto: “Non esistono pessime orchestre, solo pessimi direttori”.

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