“Ho parlato con mio fratello, appena è arrivato alla Farnesina mi ha chiamato. Voleva sapere come stavamo noi. Ora lo aspettiamo a casa, a Madignano”. Angelo Maccalli, il fratello di padre Gigi, rapito in Niger nel 2018 da nuclei jihadisti e liberato giovedì notte insieme a Nicola Chiacchio e ad altri due ostaggi, è emozionato. Quella voce non la sentiva da due anni. Un lungo tempo in cui la famiglia di padre Maccalli, religioso 59enne della Società delle missioni africane, non ha mai smesso di sperare e di pregare insieme a tutta la diocesi di Crema che giovedì sera alla notizia della liberazione ha suonato le campane a festa in ogni parrocchia.

Quali sono le prime parole che suo fratello le ha detto al telefono?
Ha chiesto di noi e poi mi ha detto che non chiudeva occhio da trentasei ore. Mi ha raccontato di essere stato per mesi legato ad una catena e di aver vissuto in totale isolamento. L’hanno spostato da una parte all’altra a bordo di diversi mezzi. L’unica consolazione – mi ha detto – era la preghiera. Per fortuna oltre a lui e a Chiacchio c’erano degli ostaggi che parlavano arabo ed erano in grado di tradurre quanto dicevano i sequestratori.

Come l’ha trovato?
Nella notte tra giovedì e venerdì la prima persona che ha parlato con lui è stata mia sorella che ora è a Roma per abbracciarlo a nome di tutti. L’ha subito trovato bene, è lo stesso di sempre. Anch’io l’ho sentito sollevato, sereno. Devo dire, tuttavia, che dalle prime immagini che ho visto in tv è molto dimagrito.

Quando arriverà a casa, a Madignano?
Non lo so ancora. Adesso è a disposizione della magistratura, dev’essere interrogato. Poi mi auguro che la sua Congregazione lo lasci tornare a casa. Se non fosse così andremo noi da lui.

Crede che si stato pagato un riscatto per la liberazione?
Non lo sapremo mai, ma non credo.

In questi due anni non avete mai perso la speranza?
No, mai. Abbiamo pregato ogni giorno per lui e con noi l’ha fatto tutta la diocesi di Crema, il vescovo monsignor Daniele Gianotti. Non l’abbiamo mai dato per disperso. All’inizio speravamo che la vicenda si potesse risolvere in breve tempo ma la Farnesina ci ha subito avvertiti che sarebbe stato un lungo lavoro di diplomazia. Quando lo scorso aprile, dopo un lungo silenzio, abbiamo visto il filmato che dimostrava che lui e Chiacchio erano ancora vivi abbiamo compreso che c’era margine per una trattativa.

Vi siete sentiti abbandonati dallo Stato o l’avete sentito vicino?
La Farnesina non ci ha mai lasciati soli. Attraverso tre interlocutori siamo sempre stati informati. Ci chiamavano spesso e potevamo interpellarli quando volevamo. Ci hanno chiesto solo di evitare clamore al fine di consentire alla nostra intelligence di lavorare per poterlo portare a casa vivo.

A chi avete pensato quando avete saputo che era libero?
A nostro fratello Walter, anche lui missionario in Nigeria. Lo abbiamo avvertito subito che Gigi era finalmente libero. Era stato proprio lui ad accompagnarlo all’aeroporto quando partì l’ultima volta dall’Italia per il Niger.

A Madignano, il vostro paese natale, son pronti ad una grande festa.
Per noi famigliari la festa è già iniziata. È la festa della Resurrezione, finalmente.

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