A parole, le conseguenze dei cambiamenti climatici sono riconosciuti da (quasi) tutti come devastanti. Eppure la politica, europea e mondiale, continua a dimostrarsi incapace nei fatti di affrontare quella climatica come una vera emergenza. In queste settimane si è aperta, in vista del prossimo vertice europeo del 1 e 2 ottobre, una finestra di opportunità per fare delle politiche ambientali il perno della costruzione di una Europa più democratica e solidale.

Il compromesso raggiunto a Bruxelles in occasione dell’ultimo vertice europeo, ha segnato un successo nell’evitare che l’Europa sprofondasse nel nazionalismo in piena crisi economica, ma sul tema dei cambiamenti climatici non è stato all’altezza della gravità dell’emergenza. I governi nazionali hanno messo sul tavolo una proposta (tassazione compensativa alla frontiera ed eventuale estensione dei diritti di emissione a nuovi settori produttivi dal 2023) del tutto insufficiente, che rischia di essere rivista al ribasso nel corso dell’iter legislativo.

Non solo l’ambiente, anche la democrazia è a rischio. Se falliamo l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2, alla fine la democrazia sarà percepita come uno strumento inefficace per fronteggiare le importanti sfide del nostro tempo. La strada per rendere l’Unione Europea più democratica è attivare il più possibile gli strumenti di democrazia partecipativa, come stiamo facendo con la raccolta delle firme sull’Iniziativa dei Cittadini europei www.StopGlobalWarming.eu per spostare le tasse dal lavoro alle emissioni e cercare di ottenere ciò che la classe dirigente non ha ancora realizzato. Se riusciremo a raccogliere un milione di firme da almeno 7 Stati membri, la Commissione europea sarà infatti formalmente obbligata ad esprimersi su una proposta concreta per affrontare l’emergenza climatica.

Il testo di StopGlobalWarming.Eu propone che sia fissato un prezzo minimo per le emissioni di CO2 in Europa, all’inizio di 50 euro per tonnellata, che poi sia portato a 100 entro 5 anni. Consumare combustibili fossili costerebbe sempre di più. La proposta include anche l’idea che questi soldi vengano usati per abbassare le tasse, in particolare sul lavoro, oltreché per incentivare il risparmio energetico e le fonti alternative. L’obiettivo è utilizzare l’economia per l’ecologia, un meccanismo di mercato per incentivare comportamenti virtuosi.

Abbiamo scelto uno strumento europeo perché la dimensione nazionale non è adeguata per soluzioni come la conversione ecologica del fisco, dato il rischio di dumping ambientale e delocalizzazioni. Solo una dimensione continentale può reggere soluzioni adeguate. Oggi è molto più chiara la fragilità delle nostre economie, e l’interdipendenza nel mondo globalizzato. E’ anche più chiara l’inadeguatezza della politica elettorale nazionale, orientata sul breve periodo e strutturalmente incapace di investire nella prevenzione e nella cooperazione internazionale.

Hanno già aderito alla campagna ex commissari europei, deputati ed eurodeputati, sindaci irlandesi e siciliani, artisti, sportivi, scienziati e ricercatori, decine di migliaia di cittadini. Mancano ancora i Capi di governo. E tutti quei movimenti ambientalisti, in particolare, Fridays For Future e Greta Thunberg, che hanno il merito di aver realizzato in pochi mesi un livello di sensibilizzazione che tanti di noi non erano riusciti a realizzare in decenni, ma che non hanno fatto a tempo ad aggregarsi attorno a delle proposte politiche con possibilità di incardinamento istituzionale.

Mi auguro che anche queste realtà e i partiti (ma anche i sindacati!) con sensibilità ecologiste in Europa vogliano cogliere questa opportunità di incardinamento istituzionale di un progetto concreto, in assenza del quale anche le loro richieste rischiano di rimanere senza nemmeno una risposta da parte della Unione europea.

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