Oggi Renato Zero – all’anagrafe Renato Fiacchini – compie settant’anni. Auguri! Ma fare gli auguri a uno come lui non basta: bisogna far capire quanto sia importante la sua musica.

Con lui siamo di fronte a un artista che non solo ha lasciato un segno nella storia della musica italiana, ma che ha rappresentato anche qualcosa di unico, perché ha inventato ciò che prima, in Italia, semplicemente non c’era. Vediamo perché.

Negli anni Settanta, l’Italia della musica si divideva tra quelle che erano considerate canzonette orecchiabili e le canzoni impegnate, oppure tra la melodia e il rock. Il pop era commerciale, se vendevi eri considerato complice. Il pop italiano, d’altra parte, non era qualcosa di più che la reiterazione dell’icona strappalacrime sanremese, amori adolescenziali e fisime melodrammatiche. L’eccezione che conferma la regola era Lucio Battisti, troppo bravo e troppo avanti per essere considerato “pop” o furbo ma, siccome vendeva, andava in qualche modo denigrato ed etichettato: gli si diede del fascista, la più grande scemenza che il panorama musicale italiano ricordi.

Ma torniamo a noi. Si stava o di qua o di là. Renato Zero, quando arriva, spariglia: non si mette né di qua né di là, si mette da un’altra parte, si crea un proprio posto. Se il pop italiano era poco interessante perché non faceva altro che ripetere qualcosa di riconoscibile e già pronto, Renato Zero la propria icona se la creava di sana pianta. Non basta: Zero immetteva nel meccanismo artistico anche l’immagine, si travestiva, introduceva la spettacolarizzazione. Un conto è fare successo con qualcosa che funziona ma che già esiste, un altro è farlo con qualcosa che funziona ma che hai inventato tu.

Il pop italiano partiva dal gusto del pubblico e lo assecondava; Zero invece faceva l’esatto contrario: imponeva una strada propria, mettendo insieme quelle icone ma facendole convivere con situazioni apparentemente in antitesi, provocando, in maniera irregolare. Venne fuori così una poetica d’autore tramite un modo personale di mettere insieme le icone, un cortocircuito. Con coraggio, perché non era affatto facile in quegli anni fare una cosa del genere. Lo abbiamo detto, o eri di qua o eri di là: lui era da un’altra parte.

Anche con le tematiche era inafferrabile, perché partendo dall’ostentazione di una sessualità transgender mutuata dal glam rock, in Italia provocatoria e contromano, sapeva mostrare il nervo scoperto della più alta pietas cristiana, oltre che parlare di temi antiabortisti o questioni sociali come la droga, molto meglio di qualunque cantautore impegnato e realista. Renato Zero, dunque, dimostrava di essere un uomo che esprimeva il proprio punto di vista sul mondo, tramite un mezzo artistico d’impatto come la canzone, di cui sfruttava tutta la potenzialità di spettacolarizzazione, dalla forza uditiva a quella visiva.

Anni luce avanti in ogni cosa in Italia, praticamente, visto che – su quella strada – nessuno ha mai fatto niente di paragonabile dopo di lui. Ci sta provando Achille Lauro, che però mi sembra nelle ultimissime settimane rischi di essere fagocitato da una vertigine citazionista che è l’inverso dell’arte che vorrebbe esprimere.

Renato Zero, insomma, ha inventato il futuro. Anche quello di oggi, visto che nessuno ha mai fatto, in quel modo, quello che a lui riesce da cinquant’anni.

C’è un altro aspetto, poi, per cui è stato un antesignano: la simbiosi con il proprio pubblico. Essere sorcini è uno status. I suoi fan lo corrispondono come succede con pochi artisti in Italia. Zero nelle canzoni rappresenta spesso l’uomo battuto e d’infinita dignità, la persona d’ogni giorno maltrattata e derisa dalla società, che però riesce a trovare la forza nella simbiosi solidale con i suoi simili.

Sono tutti simboli disseminati negli anni, che lo rendono unico e da cui ancora oggi attinge per scrivere le nuove canzoni, da una tavolozza che si è costruito e ha riempito con estrema abilità.

Chiudo, mi sia concesso, con un ricordo personale.

Siamo nel 2016, metà aprile. Nel tardo pomeriggio c’è stata la presentazione di un mio libro su Ivan Graziani e, la sera, finiamo in una trattoria proprio con Renato Zero, sincero amico di Anna Graziani (moglie di Ivan), che aveva partecipato alla presentazione. Dal ristorante ci spostiamo a casa del cantautore, dove ascoltiamo delle canzoni. Siamo pochissimi: io, la mia compagna, Anna, Renato e il giornalista Rai Duccio Pasqua. Sono brani del nuovo disco Alt, appena uscito, ma forse anche qualcosa di inedito. Io sono colpito da tanta familiarità – sia dei brani che del suo autore –, vi assicuro non comune tra altri artisti di questo spessore e fama. Gli dico qualcosa del tipo: “Renato io con queste canzoni mi sento a casa, lo sai?”. E lui, con tutta la naturalezza del mondo: “Lo so, perché questa è casa tua”. Quando un artista riesce a farti sentire a casa, non c’è proprio altro da aggiungere. Il bello è che lui quella casa, prima di abitarci, se l’è costruita mattone su mattone.

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