Unità d’intenti sul 5G, ma anche sul dossier libico e sul caso Chico Forti. È quanto emerge al termine degli incontri tra il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e, successivamente, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Al centro del vertice con il premier le strategie italiane sullo sviluppo del 5G, oggetto di scontro tra gli Stati Uniti e la Cina, con Washington che ha ripetutamente lanciato l’allarme ai Paesi europei su presunti rischi per la sicurezza nazionale causati dallo sviluppo delle tecnologie Huawei. Tema principale anche dell’ultimo vertice tra il capo del governo, i ministri competenti e i capi delegazione. “Conosciamo le preoccupazioni degli Usa. Per noi la sicurezza è una priorità assoluta“, ha poi detto Di Maio rispondendo all’appello del diplomatico americano che denuncia il tentato “sfruttamento” del Partito Comunista Cinese della propria presenza in Italia.

In mattinata, il capo della diplomazia Usa aveva già partecipato a un incontro in Vaticano dal quale, però, sono emerse forti tensioni tra l’amministrazione Usa e la Santa Sede, tanto che il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Richard Gallagher, è arrivato ad affermare che “Trump strumentalizza il Papa”.

Pompeo: “Ho chiesto a Conte attenzione sul 5G”. Di Maio: “Sicurezza è priorità, a favore di regole comuni Ue”
Dagli Stati Uniti, il messaggio recapitato all’Italia è sempre lo stesso: attenzione alla Cina. Lo ha ribadito lo stesso Pompeo dopo l’incontro con Conte: “Nella mia discussione con il premier Giuseppe Conte ho chiesto di fare attenzione alla privacy dei suoi cittadini“, ha detto. “Il Partito Comunista Cinese sta cercando di sfruttare la propria presenza in Italia per i propri scopi strategici, non sono qui per fare partenariati sinceri”.

Da parte italiana ha risposto Di Maio che ha ribadito come il Paese sia “saldamente ancorato agli Usa e all’Ue a cui ci uniscono i valori e gli interessi comuni ai Paesi Nato. Per l’Italia ci sono alleati, interlocutori e partner economici. Un Paese come il nostro è aperto a possibilità di investimento, ma mai fuori dai confini”. Spiegando poi che “con Pompeo abbiamo avuto un dialogo amichevole e costruttivo, con lui mantengo un dialogo costante. Devo ringraziare ancora una volta per lo straordinario aiuto degli Stati Uniti come governo e strutture private nella fase acuta della crisi di coronavirus“.

“Abbiamo ben presente le preoccupazioni” dei nostri alleati americani, ha poi continuato. “L’Italia è pienamente conscia di assicurare la sicurezza delle reti 5G. Resta una nostra assoluta priorità e siamo a favore di regole europee comuni“.

Il ministro degli Esteri ha poi affrontato anche altri temi di politica internazionale che legano l’Italia agli Usa. Prima su tutti la questione libica: “Contiamo moltissimo sull’influenza che gli Usa potranno esercitare sugli interlocutori libici e gli attori internazionali per evitare eventuali azioni di sabotaggio” del processo di stabilizzazione, ha detto Di Maio che non ha dimenticato di ringraziare Washington per il supporto offerto sul caso Chico Forti. “Grazie a Pompeo per l’attenzione dedicata a Chico Forti, una vicenda che ci sta molto a cuore e per la quale l’Italia continuerà a impegnarsi senza sosta”.

Tensioni con il Vaticano: “Trump strumentalizza il Papa”
La giornata di Pompeo è però iniziata subito all’insegna della tensione. Intervenendo al Simposio organizzato a Roma dall’ambasciata Usa presso la Santa Sede sul tema della “promozione e difesa della libertà religiosa attraverso la diplomazia”, il segretario di Stato Usa ha dichiarato che “gli Stati Uniti fanno la sua parte nel parlare in nome delle vittime della repressione religiosa, possiamo fare di più, ma lavoriamo duramente per gettare una luce sugli abusi, punire chi è responsabile e possiamo incoraggiare altri ad unirsi a noi in questa missione”. Parole che arrivano dopo che nei giorni scorsi su Twitter ha rilanciato il duro editoriale che ha scritto su un giornale religioso in cui si afferma che la Santa Sede “metterebbe a rischio la sua autorità morale” se rinnovasse l’accordo” raggiunto due anni fa “con il Partito Comunista Cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi”.

E proprio basandosi su questa tesi ha concluso il suo intervento: “Per quanto le nazioni possano fare, alla fine i nostri sforzi sono limitati dalla realtà della politica mondiale – ha continuato il capo della diplomazia dell’amministrazione Trump – Gli Stati possono a volte fare compromessi per far avanzare buoni fini, i leader vanno e vengono e le priorità cambiano. Ma la Chiesa è in una posizione differente, non devono compromettere standard di principio basate su verità eterne. E la storia ha dimostrato che i cattolici hanno affermato i loro principi in azioni gloriose”.

Pompeo ha poi lanciato un appello diretto a Papa Francesco chiedendogli di dare prova di “coraggio” nel combattere le persecuzioni religiose, in particolare in Cina: “Faccio appello a tutti i leader religiosi affinché si trovi il coraggio per affrontare le persecuzioni religiose delle loro comunità come delle altre – ha detto – I leader cristiani devono difendere i loro fratelli e sorelle in Iraq, in Corea del Nord e a Cuba“.

Parole che hanno provocato la reazione dei vertici vaticani, con il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Richard Gallagher, che al termine dell’incontro ha risposto, a chi gli ha chiesto se l’atteggiamento Usa non sia una forma di strumentalizzazione del Papa da parte di Trump, che “sì, e questa è proprio una delle ragioni per cui il Papa non incontrerà il segretario di Stato americano Mike Pompeo”. E ha poi aggiunto: “Non mi avete sentito pronunciare la parola ‘Cina’? Non mi avete sentito pronunciare alcun nome, di nessun Paese, questa è la prassi della diplomazia vaticana, non pronunciare nomi e biasimi è uno dei principi della diplomazia vaticana normalmente”.

Visibilmente irritato, Gallagher ha aggiunto: “Comunque ho avuto solo pochi minuti. Mi hanno invitato a parlare solo pochi minuti, non si fa così”. A chi gli ha chiesto se l’iniziativa americana sia stata una interferenza, ha risposto: “Posso dire questo. Normalmente quando si preparano le visite a così alti livelli di ufficialità si negozia l’agenda in privato e confidenzialmente. È una delle regole della diplomazia dando la possibilità a entrambi di definire il Simposio, non dando le cose per fatte”, lasciando così intendere che l’amministrazione Usa ha agito unilateralmente rispetto all’organizzazione del convegno.

Sulla questione è intervenuto anche Parolin che ha risposto a chi gli ha chiesto se fosse irritato per l’atteggiamento di Washington: “Irritazione non direi, sorpresa sì per questa uscita che non ci aspettavamo, anche se conosciamo bene da molto tempo la posizione di Trump e del segretario Pompeo in particolare. Era già in previsione una visita a Roma in cui Pompeo avrebbe incontrato dei vertici della Santa Sede, e ci sembrava quella la sede più opportuna e più adatta per parlare di queste cose e lo faremo, ci incontreremo domani e ci sarà modo di confrontarci su queste tematiche”.

Ma allo stesso tempo fa scudo davanti a Francesco e a quello che dalla Santa Sede è stato visto come un tentativo di strumentalizzazione: “È stata data questa interpretazione, cioè quella per cui questa uscita sarebbe finalizzata alla politica interna americana. Io non ne ho le prove ma è un pensiero che si può fare”. E alla domanda se Mike Pompeo aveva chiesto di vedere il Papa, Parolin ha risposto ammorbidendo la posizione presa da Gallagher: “Lo aveva chiesto, ma il Papa aveva detto chiaramente che non si ricevono personalità politiche durante la campagna elettorale. D’altra parte un segretario di Stato incontra il suo omologo, appunto il segretario di Stato”.

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