Il 70% dei votanti ha appena festeggiato il taglio dei parlamentari per un risparmio di circa 80 milioni di euro l’anno. Quanti soldi si risparmieranno esattamente però nessuno lo sa, perché il sistema di rendicontazione di indennità e rimborsi erogati agli eletti è vago, opaco e con zone d’ombra tali da consentire anche piccole astuzie e calcoli di convenienza, in barba al mantra della totale trasparenza. Lo si deve a regolamenti parlamentari che sempre lasciano quel margine di incertezza, di accidentalità che si traduce in concreto nella non-conoscibilità del dato. Lo ribadisce per l’ennesima volta il sito di OpenPolis che invita le due Camere a inserire anche questo elemento nella revisione dei regolamenti che andranno modificati proprio per effetto del referendum sui taglio degli scranni.

I parlamentari sono una categoria anomala di cittadini anche per questo: stipendiata con soldi pubblici, ma senza pubblicità del loro stipendio. Certo, c’è la dichiarazione dei redditi, ma contempla anche redditi attività professionali e rendite. Certo, conosciamo il metodo di calcolo e le cifre in ballo, ma solo grazie alle due paginette in croce sul trattamento economico previsto disponibili sul sito di Camera e Senato. Si sa ad esempio che la spesa complessiva ammonta a 224 milioni. Ma se un cittadino volesse sapere quanto è stato effettivamente versato a un deputato o senatore non potrebbe, a meno di chiamare direttamente l’interessato.

Manca infatti un riepilogo puntuale di ogni componente variabile della retribuzione che – nel caso degli eletti – è quasi metà di quanto percepiscano: vale a dire l’indennità vera e propria, quella di funzione, la diaria per le spese di soggiorno a Roma, i rimborsi per l’attività politica sul territorio e altre spese (dai trasporti al telefono). Ecco, su queste voci e relativi importi non c’è alcuna pubblicità e dunque nessuna trasparenza. Bene chiarire da subito che la privacy non c’entra. Lo ha fatto il Garante in persona anche intervenendo nella recente querelle dei percettori del bonus Covid da 600 euro, ribadendo che le aspettative di protezione dei dati personali sono semmai affievolite per chi ricopre funzioni pubbliche. Ma cosa non si può sapere?

Ogni anno spunta la classifica degli assenteisti. Ma se e quanto effettivamente gli è costato defilarsi non è dato sapere, salvo la regola generale: alla Camera – ricorda OpenPolis – la diaria che viaggia sui 3.500 euro viene tagliata di 206,58 euro per ogni giorno di assenza. A cui si possono aggiungere fino a 500 euro mensili in caso di assenza in commissioni e giunte. Anche al Senato sono previste decurtazioni analoghe, sebbene in misura non specificata sul sito. Tale penalità scatta però solo in caso di mancata partecipazione ad almeno il 30% delle votazioni in aula. In caso contrario, non c’è. Siccome i migliori conoscitori della materia sono gli stessi percettori, a molti basta fermarsi sulla soglia, prima del rosso, per assentarsi senza alcuna decurtazione. E ottenere così il disco verde alla piena retribuzione.

Non solo. Gli onorevoli che vogliono eclissarsi hanno il potere di sdoppiarsi. assentandosi dalle Camere figurando come fossero presenti. Gli basta marcar missione. Proprio il Fatto sollevò la questione tre anni fa, provocando molte polemiche e repliche stizzite degli interessati colti sul punto. Il regolamento infatti consente agli eletti di figurare come “assenti giustificati” qualora – con un semplice fax alla Presidenza – comunichino di avere impegni legati al loro mandato.

Chi dichiara la missione percepisce la diaria intera, oltre lo stipendio e relativi contributi, senza decurtazioni di sorta. Il Servizio assemblea si limita a registrare l’evento passivamente, senza alcuna verifica. Deputati o senatori non sono tenuti in nessun modo a motivare e giustificare l’assenza per le asserite “funzioni”. E la verifica, mancando quell’informazione, può essere fatta solo empiricamente e a posteriori, andando cioé a vedere cosa faceva l’eletto quel giorno, dov’era e così via. Fu allora che vennero fuori le strane missioni di un Renato Brunetta in tv, Michela Vittoria Brambilla che inaugurava supermercati o Valentina Vezzali che si allenava in palestra risultando presente alla Camera in quanto in “missione”. Una sorta di abuso continuo a danno dei contribuenti. Il problema dove sta? Molti onorevoli, è giusto precisarlo, non vanno proprio da nessuna parte. Semplicemente si rintanano nei loro uffici e vai a sapere a far cosa.

Da allora tutto è rimasto uguale e a svuotare il Parlamento, prima della riforma che verrà, contribuisce ancora oggi un esercito di deputati in libera uscita permanente che si dileguano dai lavori d’aula e commissione per farsi i fatti propri o del partito, avendo però cura di farsi pagare come se fossero lì. In questa legislatura, calcola OpenPolis, In 105 deputati e 27 senatori erano assenti oppure in missione a un voto in aula su 2; e 38 deputati assenti o in missione in oltre il 70% dei casi. La lista di chi marca missione viene sempre letta dal presidente al termine di un voto, e pubblicata nell’allegato di seduta. Ma non viene mai esplicitato il motivo e la durata.

Anche altre voci accessorie hanno ampie zone d’ombra. Vedi le famose le “spese per l’esercizio del mandato” che valgono 3690 euro alla Camera ma solo la metà devono essere documentate. E le altre? In Europa e in alcuni parlamenti dell’Unione i soldi per i collaboratori non vengono dati direttamente in busta paga, in forma di rimborso, ma vengono attinti da un’apposita voce del bilancio con un massimale di 25mila e rotti euro. Proprio per evitare situazioni di sopruso ai danni dei collaboratori parlamentari, vizio comune a destra e sinistra, e per impedire il perpetuarsi di quella zona grigia che da sempre è la condanna per loro e un modo di arrotondare degli assistiti-eletti. Ecco, OpenPolis torna ora alla carica con questa richiesta: visto che tocca rimetter mano ai regolamenti, raddrizziamo le sue antiche storture dando un senso vero alla parola trasparenza.

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