Le ragioni per andar d’accordo ci sarebbero: le elezioni stravinte, il governo di cinque anni premiato, un buon risultato per tutte le anime della coalizione. E invece è dalla sera del 21 settembre che Giovanni Toti e la Lega sono ai ferri corti. Motivo? Il boom di consensi della lista del governatore, capace di dare il via a un effetto domino di malumori e risentimenti tra alleati.

Partiamo dall’inizio: con un exploit inatteso la lista “Cambiamo per Toti presidente” sfiora il 23% dei voti in Liguria, eleggendo 8 consiglieri. A tutto danno di Matteo Salvini che qui puntava al primo posto e si è dovuto accontentare del terzo: ferma al 17%, la Lega è finita dietro anche al Pd e manderà in Consiglio 6 eletti. Non male, certo, ma adesso il Carroccio – che nel 2015 fu la prima lista del centrodestra – si ritrova in posizione servente rispetto ai totiani. Con le dovute proporzioni, il rapporto di forze ricorda quello veneto, dove la lista del governatore Zaia ha ottenuto tre volte i consensi del partito. Si spiega così l’assenza dei big leghisti alla festa in piazza De Ferrari: troppo forte lo smacco per un esito non all’altezza delle aspettative. Manca in particolare Edoardo Rixi, il luogotenente di Salvini in Liguria, che raggiungerà il governatore solo in tarda serata.

Non solo: nemmeno due giorni dopo, Toti agita ancora il coltello e in una discussa intervista al Corriere accusa l’alleato di incapacità nel gestire la coalizione. “Matteo potrebbe essere l’architetto del centrodestra, ma al momento non mi risulta che abbia alcun progetto”, risponde alla domanda se sia ancora Salvini il leader. “Si concentra solo sulle sue battaglie, va per conto suo. Non ascolta chi gli vuole bene. E a forza di dare spallate, finisce per rimediare una lussazione dopo l’altra”. Il rieletto presidente dà persino consigli strategici (“Deve intestarsi le vittorie, come faceva bene Berlusconi”) e stigmatizza lo scarso entusiasmo da parte leghista nel post-voto: “Mi aspettavo sorrisi e brindisi, non i musi lunghi di questi giorni”. Parole che alle orecchie dei militanti liguri devono suonare irridenti, tanto più che la Lega è stata decisiva nel far nascere entrambe le candidature di Toti. Nel 2015 fu Rixi, già designato per la corsa, a fare un passo indietro, mentre di recente Salvini ha fatto da maggiore sponsor alla riconferma, sfidando la riluttanza di Forza Italia.

Ed è proprio Rixi che nel giro di poche ore commenta l’intervista con frasi al veleno: “Uno scivolone mediatico frutto della poca lucidità post-ubriacatura elettorale. Spero che Toti ritorni in sé e recuperi la memoria, ricordandosi che senza la Lega e senza Matteo Salvini non sarebbe dov’è oggi”. In effetti sono in molti, anche negli ambienti vicini al governatore, a ritenere quelle dichiarazioni “drogate” dall’entusiasmo per il risultato. Che potrebbe portarlo a coltivare di nuovo ambizioni da leader nazionale, come quelle per cui lasciò Forza Italia nell’agosto dell’anno scorso per fondare il nuovo soggetto “Cambiamo!” scivolato presto nell’oblio, salvo poi ricomparire come primo partito alle Regionali liguri. E forse non è un caso se sulla pagina Facebook del movimento è ricomparsa la campagna di adesioni abbandonata da mesi: le difficoltà di Salvini avrebbero spinto Toti, sull’onda del consenso locale, a tentare di accreditarsi come punto di riferimento dei moderati. Insieme a Mara Carfagna, l’altra ex delfina di Berlusconi che ha già dettato il manifesto: “Il centrodestra è a un bivio, può continuare a inseguire il progetto sovranista fondato sulla critica pregiudiziale all’Europa oppure ammettere che il quinquennio d’oro del populismo è finito”, dichiara in un’intervista al Mattino.

Per il futuro dell’alleanza in Liguria, invece, sarà centrale la partita della nuova giunta. La Lega pretende lo stesso pacchetto di assessori uscenti: ben 3 su 7, incluso il vicepresidente. Ma Toti è deciso a far pesare i nuovi equilibri e insisterà per limitare a due i membri leghisti, magari offrendo in cambio la presidenza del Consiglio regionale. In particolare il governatore vuole l’assessorato alla Sanità, finora nelle mani della leghista Sonia Viale (che è fuori dal Consiglio e non sarà riconfermata). In una prima fase la delega potrebbe restare allo stesso Toti, coadiuvato da Matteo Bassetti, il primario di Malattie Infettive al San Martino che ha speso parole al miele sulla rielezione (“Gli elettori hanno riconosciuto a questa amministrazione la bontà delle scelte”). Ma attenzione: se la corda si tenderà troppo il rapporto tra soci di governo rischia di logorarsi. Con prospettive imprevedibili.

Twitter: @paolofrosina

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